È qualcosa che i proprietari di casa alle prese con gli F24 per il pagamento dell’Imu probabilmente avevano già intuito: le imposte immobiliari non aiutano la crescita, anzi, la deprimono. Ora anche gli economisti lo certificano.
I ricercatori dell’Economics and Econometrics Research Institute (Eepi) di Bruxelles hanno pubblicato uno studio sull’impatto di diversi tipi di tassazione sul Pil reale pro capite nei Paesi europei, prendendo in esame tutti e 27 membri dell’Unione Europea nel periodo tra il 1995 e il 2019. Alcuni risultati sono opposti a quelli attesi. Quali? Proprio quelli sul collegamento tra crescita e variazione delle imposte sugli immobili. Si attendevano infatti che la relazione fosse positiva (più tasse sulla casa, impatto positivo sul Pil), mentre è negativa (più tasse sulla casa, impatto negativo sul Pil). È significativo come questo esito stupisca gli stessi studiosi, e indica quanto pervasivo sia stato negli ultimi anni il pregiudizio ideologico sul settore immobiliare, giudicato a tal punto improduttivo da credere che tassarlo di più avrebbe solo portato benefici all’economia. Non è così.
Cosa succede alla crescita quando aumentano le tasse
Il rapporto sostiene che mentre l’aumento delle tasse sui redditi personali ha ovvie conseguenze negative di lungo periodo sui redditi reali, quello delle imposte sulle imprese ha un impatto pressoché neutro, mentre l’incremento delle tasse sui consumi ne ha uno debolmente positivo, ovvero a esso corrisponde mediamente una crescita del Pil pro capite.
Ma il dato più rilevante riguarda appunto quello sulle imposte sugli immobili. Ebbene, secondo i dati di Eepi a ogni punto di crescita delle tasse corrisponde una riduzione dello 0,18% del Pil reale pro capite se parliamo delle imposte ricorrenti (come l’Imu) e dello 0,12% se invece ci riferiamo alle altre tasse sugli immobili.
Perché aumentare il peso delle imposte sulla casa è ancora peggio che incrementare le altre tasse
È degno di nota il fatto che l’impatto negativo sul Pil, della crescita del peso delle imposte sulla casa è molto più forte di quello rilevato dall’aumento delle tasse sui redditi personali (come ad esempio l’Irpef). Per quale motivo accade ciò? Intanto è evidente che negli ultimi 30 anni lo spostamento della tassazione sugli immobili si è verificato soprattutto nei Paesi in difficoltà finanziarie, come l’Italia, in occasione di politiche di austerità miranti a ridurre deficit e debito. È stato, infatti, tra i principali strumenti utilizzati in manovre pro-cicliche che hanno ulteriormente ridotto i redditi disponibili in periodi di crisi. Il dato più significativo, però, è che tale impatto sui consumi, e quindi sul Pil, è stato sottovalutato dai governi per l’errata convinzione (comune anche agli studiosi dell’Eepi, come essi stessi ammettono) che tassare gli immobili avesse ricadute trascurabili. Non è stato così.
Tra i principali motivi vi è l’impatto del calo del settore edilizio, dei prezzi e del numero di nuove costruzioni che una maggiore tassazione comporta. Si tratta di un comparto ad alta intensità di lavoro e chi vi è impiegato ha normalmente redditi bassi, è giovane e quindi una propensione ai consumi più alta. La crisi del 2011-13 in Italia fu dovuta anche alla perdita di posti di lavoro nell’edilizia, alla crescita dei disoccupati e alla diminuzione sia degli investimenti collegati al mattone che della domanda da parte di chi non aveva più un impiego.
A scatenare la recessione, ricordiamolo, erano stati nel 2011 i provvedimenti della manovra “Salva Italia” con l’introduzione dell’Imu, che, tra le altre cose, avevano previsto la moltiplicazione per 160 delle rendite catastali degli immobili residenziali e l’allargamento della tassa anche alle abitazioni principali. In un anno, tra il 2011 e il 2012, il gettito dello Stato dalle imposte sugli immobili è decollato da 9,2 a 23,8 miliardi con effetti devastanti sull’economia reale. Effetti che l’Italia non è riuscita ancora a superare del tutto.
3.11.2023