Alle radici della direttiva, più delle preoccupazioni ambientali contano gli interessi delle grandi aziende
Chi in Europa voleva una direttiva “case green” con regole più stringenti sulle emissioni degli edifici? A osservare il dibattito ormai aperto da anni, non si tratta tanto dei cittadini, preoccupati per i costi che comporterebbe, né dei governi, sempre più freddi sull’argomento, bensì di molte grandi aziende che si sono alleate ai gruppi ambientalisti per chiari interessi economici, del resto dichiarati in modo abbastanza esplicito durante le attività di lobbying che hanno portato avanti a favore della direttiva.
Basterebbe solo leggere la nota che a inizio 2023 è stata inviata alla Commissione Industria Ricerca ed Energia del Parlamento Europeo, a favore di un’accelerazione nella revisione della EU Energy Performance of Buildings Directive (EPBD). È stata scritta da tre grandi network di aziende e investitori, Corporate Leaders Group (CLG) Europe, Climate Group e Institutional Investors Group on Climate (IIGCC).
Il lungo elenco delle aziende interessate all’EPBD
Al cittadino comune queste sigle non dicono quasi nulla, ma tra i membri di questi gruppi di azione vi sono le maggiori multinazionali europee e mondiali. Parte di CLG Europe sono, per esempio, Amazon, Ikea, Microsoft, Unilever, Coca Cola, GlaxoSmithKline.
A Climate Group, invece, aderiscono ancora più imprese, come Goldman Sachs e Deutsche Bank, e tra queste alcune operano direttamente nell’ambito dell’edilizia, dell’efficientamento energetico e degli elettrodomestici in tutto il mondo. Per esempio, la turca Arcelik, con il suo brand Beko, o Bam e Berkley Group, del comparto real estate inglese, e persino l’indiana Dalmia Cement.
Di IIGCC fanno parte poi i più importanti gestori di fondi del Vecchio Continente, da Amundi a Allianz a Jp Morgan. A firmare il documento sono stati, oltre ai tre network principali, anche 16 think thank e gruppi di pressione paneuropei e nazionali.
Nella lettera sopra citata si sottolineano quelli che, a dire dei firmatari, sarebbero i vantaggi economici e occupazionali degli investimenti nell’efficienza energetica, per esempio in nuove pompe di calore e sistemi di aria condizionata più ecologici. Dato rilevante: si sottolinea anche come tali opportunità debbano venire da investimenti del settore privato, ovvero, potremmo dire in modo più esplicito, maggiori spese delle famiglie.
Gli appelli dell’industria del solare e degli isolanti
Ma questo è solo uno degli esempi; ve ne sono molti altri. A fine 2022 un’altra lettera che invitava le istituzioni europee a essere più ambiziose nella nuova direttiva è stata inviata direttamente, senza passare da network, da 30 aziende. Si trattava di quelle attive nei segmenti degli isolanti termici, come Knauf, o dei materiali dell’edilizia, come Saint Gobain, delle applicazioni in vetro, come ACG Glass Europe.
Prima ancora, nel settembre 2022, era stata pubblicata la posizione, naturalmente a favore dell’EPBD, di 4 network di imprese impegnate nel comparto dell’energia elettrica e solare, del rame, delle pompe di calore, come SolarPower Europe, European Copper Institute, European Heat Pump Association, EuropOn.
Anche in questo caso sigle sconosciute ai più, ma ben note agli addetti ai lavori. Agli appelli pubblici hanno accompagnato un’attività di lobbying, che, come sappiamo, a Bruxelles è intensissima, con più di ottomila aziende e network di società registrati, che spendono circa 1,3 miliardi di euro all’anno per cercare di influenzare le politiche europee.
La pressione delle industrie tedesche
Molto più recente, lo scorso ottobre, e forse più importante, è la lettera della Bundesverband der Energie- und Wasserwirtschaft (BDEW), che raggruppa le aziende tedesche del settore idrico e energetico, e della Bundesverband der Deutschen Industrie (BDI), che rappresenta ben 39 associazioni industriali, sempre tedesche, in tutti i campi. Si tratta di un appello a due deputati cristiano-democratici perché si oppongano all’annacquamento della direttiva “case green” a opera dei governi tedesco e italiano. Di fatto si tratta anche di una presa di posizione contro quei politici tedeschi socialdemocratici e liberali che sono stati molto scettici sulla direttiva.
È un curioso e molto illuminante rovesciamento di ruoli, in cui gruppi di pressione tradizionalmente conservatori e certo non famosi per simpatie ambientaliste spingono per politiche “verdi”, mentre formazioni più progressiste vanno in direzione contraria. È l’ennesima conferma del fatto che più che istanze ecologiste l’EPBD persegue obiettivi economici, ovvero il profitto che tante industrie avrebbero dalla maggior spesa delle famiglie in pompe di calore, doppi vetri, cappotti termici, impianti solari ecc.
Un’idea distorta di libero mercato
Naturalmente tutto ciò è più che legittimo. L’elaborazione delle leggi, a qualsiasi livello, deve tenere conto anche delle posizioni degli operatori economici in una democrazia in cui vige il libero mercato.
Tuttavia qui siamo di fronte a un’azione di lobbying perlomeno atipica: non viene chiesto alle istituzioni politiche di rendere più efficienti o tagliare delle regole o dei vincoli, né di incentivare un comportamento virtuoso tramite, per esempio, detrazioni fiscali. Un gruppo numeroso di aziende domanda, invece, di imporre ai privati di spendere, di creare domanda artificiale, che evidentemente sarebbe alternativa sia al risparmio sia alla domanda di altri beni e servizi in altri settori.
Tale richiesta viene da imprese che spesso si sono opposte a distorsioni della concorrenza e agli aiuti di Stato, eppure di fatto ora sono loro stessi che chiedono. In altre occasioni hanno protestato per un’eccesiva tassazione o una regolamentazione troppo burocratica, ma di fatto domandano che questa sia imposta a soggetti molto più vulnerabili di loro, le famiglie, i privati, a prescindere dal loro reddito. Questo dovrebbe farci riflettere.
11.1.2024