Anche la proprietà immobiliare genera ricchezza e crescita: dagli affitti brevi alle compravendite di abitazioni
Le narrazioni contro il mondo della proprietà immobiliare, le sue libertà di scelta e le sue attività sono molte. Da sempre. Non ci sono solo quelle, spesso di impronta statalista, di chi vede coloro che possiedono, vendono, acquistano e soprattutto affittano un immobile come dei “rentier” che non pagano abbastanza tasse e da spremere maggiormente.
Esistono purtroppo anche quelle alimentate da chi, in realtà, è parte del mondo economico, ma ne ha una visione ristretta e, potremmo dire, pro domo sua. È il caso di quegli operatori del turismo come gli albergatori che rivendicano per sé un ruolo di incentivo alla crescita dell’economia, ma la negano al mondo della proprietà, commettendo un marchiano errore. I dati dicono altro, soprattutto oggi.
Il valore aggiunto delle attività legate al settore immobiliare
Cominciamo da quelli dell’Istat che misurano il valore aggiunto di ogni settore. Nel 2023 quello immobiliare ha generato 239,1 miliardi di euro che corrispondono al 12,7% di tutto il valore aggiunto nazionale (un indice non identico, ma simile a quello che misura il Pil). È una percentuale di poco più bassa rispetto a quella del 2019, prima del Covid, quando era pari al 13,5%, ma in compenso negli stessi quattro anni è cresciuta in modo più che proporzionale, dal 4,3% al 5,3%, la quota attribuibile al comparto delle costruzioni. Non solo, se guardiamo ai numeri in un’ottica di lungo periodo è evidente che il settore immobiliare è diventato nel tempo sempre più importante: alla fine degli anni ’90 rappresentava meno del 10% del valore aggiunto e fino al 2008 questa percentuale era sempre rimasta inferiore a quella di oggi.
Di più: anche volendo eliminare dal conteggio i cosiddetti “fitti imputati” (una misura teorica del valore di utilizzo della propria abitazione da parte del proprietario), il comparto immobiliare ha sempre generato più valore del settore alloggio e ristorazione. Ricordiamo peraltro che in quest’ultimo ambito non sono inclusi solo ristoranti e alberghi, ma anche gli affitti di breve durata, chiamati “affitti brevi”, che producono reddito e lavoro nella stessa misura in cui lo fanno gli hotel.
Il contributo all’economia degli affitti brevi
Secondo alcune stime (di Sociometrica) gli affitti brevi genererebbero un fatturato di 11 miliardi di euro, una cifra superiore e quasi doppia rispetto ai 5,8 miliardi spesi per pagare i canoni di affitto tradizionali. Mediamente, poi, la presenza degli utilizzatori degli affitti brevi, in gran parte turisti, genera altri 44 miliardi di indotto. All’interno di questa somma ci sono i consumi presso i ristoranti, le visite ai musei, i trasporti e lo shopping nelle principali città turistiche, ma anche le spese sostenute dai proprietari per le ristrutturazioni e gli arredi. Sono flussi di denaro che vanno direttamente quasi solo a imprese ed esercizi commerciali italiani, generando posti di lavoro.
Il paradosso è che questi stessi numeri sono spesso citati e diffusi proprio dagli stessi (vedi Federalberghi) che in altre occasioni, invece, lamentano che gli affitti brevi in città non genererebbero ricchezza e lavoro. Ne parlano quando si tratta di invocare regolamenti e tassazioni punitive, ma non si rendono conto della contraddizione insita nel citare le crescenti dimensioni di un fenomeno e ignorare l’impatto positivo che invece ha sull’economia.
4.7.2024
Il proptech accresce l’impatto positivo della proprietà immobiliare
Non solo, la gestione degli affitti, brevi e lunghi, include anche l’utilizzo della tecnologia, che consente la nascita di piattaforme digitali nonché di segmenti nuovi, come il property management. Soprattutto per l’Italia è ancora presto per avere un’idea precisa dell’impatto economico che può avere. Tuttavia, essendo composto anche da soggetti italiani e non solo da grandi multinazionali, costituisce certamente un contributo aggiuntivo all’economia.
Il property management, soprattutto quando è effettuato con strumenti digitali, fa parte del mondo del proptech, che rappresenta l’incontro virtuoso tra nuove tecnologie e mondo della proprietà. Sia che si tratti di fintech applicato all’immobiliare, di servizi di sharing, di quelli, appunto, legati alla gestione delle locazioni, o dell’ICT (Information and Comunication Technologies) nell’ambito delle costruzioni, la crescita di questo settore è indiscutibile: basti pensare che nel 2023 le imprese sono aumentate da 273 a 337. La diffusione del proptech nel nostro Paese dimostra soprattutto che la proprietà può essere un motore di sviluppo dinamico. Aggiunge, infatti, agli occupati nelle attività immobiliari tradizionali altri lavoratori giovani e istruiti, considerando che il 30% degli addetti del proptech ha una formazione ICT e il 71% ha meno di 42 anni.
E si potrebbe fare ancora di più. Secondo un recente rapporto di Crif il 30% dei proprietari non ha intenzione di affittare le proprie abitazioni, soprattutto se ne ha solo una (oltre a quella che abitano). La principale ragione è l’eccesivo rischio di fenomeni di morosità, che non a caso hanno colpito un proprietario su 3. La carenza di strumenti legislativi adeguati che riducano il fenomeno, o che almeno diminuiscano il loro impatto economico, limita l’effetto benefico che pure la proprietà immobiliare ha sull’economia.