Se abbiamo deciso di dedicare la copertina di questo numero di Confedilizia notizie ai dati sulla continua crescita delle cosiddette “unità collabenti” (gli immobili ridotti in ruderi), non è certo perché amiamo compiacerci delle disgrazie o per fare del piagnisteo. La nostra intenzione è quella di accendere un faro su un fenomeno che, se non è – ovviamente – la regola, sicuramente è la punta di un iceberg.
I numeri sono impressionanti: 620mila immobili in queste condizioni nel 2023, erano 278mila nel 2011. Come abbiamo sempre evidenziato, si tratta di edifici, appartenenti per il 90 per cento a persone fisiche, che giungono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o in conseguenza di atti dei proprietari finalizzati a evitare il pagamento dell’Imu, considerato che sono soggetti alla patrimoniale immobiliare anche i fabbricati definiti “inagibili o inabitabili”, ma non ancora considerati “ruderi”.
Dobbiamo rassegnarci a questa deriva? No, non dobbiamo farlo. Dobbiamo, anzi, lavorare affinché una tendenza pericolosa per l’Italia sia invertita. Con quali azioni è più difficile dirlo, in un Paese in cui i dati demografici e quelli delle condizioni economiche delle famiglie sono inesorabili. Per dirla più esplicitamente, col rischio di essere un po’ rozzi: gli italiani diminuiscono ogni anno e le loro condizioni sono sempre peggiori, ma gli immobili non spariscono e qualcuno deve tenerli in piedi quando non sono utilizzati.
Una cosa che si può fare subito, senza alcuna pretesa di ritenerla risolutiva, è quella di agire sull’Imu. È pensabile che persino gli immobili “inagibili o inabitabili” siano ancora soggetti a questa imposta, sia pure al 50 per cento? Eliminarla – oltre a rappresentare una misura di civiltà giuridica – al minimo toglierebbe ai proprietari l’incentivo a dare il colpo di grazia ai propri “beni” (appunto per trasformarli in ruderi ed evitare almeno questo esborso annuale). Così come sarebbe necessario esentare dal tributo – analogamente a quanto diversi Comuni fanno per la tassa rifiuti – gli immobili che sono di fatto non utilizzati (il parametro normalmente adottato è quello dell’assenza di contratti attivi di fornitura dei servizi pubblici a rete).
Tutto ciò, come detto, non basterebbe. Dovrebbe poi avviarsi una seria riflessione su quale possa essere il futuro di un patrimonio immobiliare sempre più in difficoltà.
Nel frattempo, poiché siamo in periodo di manovra di bilancio, la nostra Confederazione insisterà su alcune proposte in tema di affitti che reputa necessarie:
– per quanto riguarda il comparto abitativo, l’azzeramento dell’Imu per le case locate “a canone concordato” e l’estensione a tutta Italia della cedolare secca al 10 per cento prevista in caso di utilizzo di questo canale di contrattazione (che riguarda anche gli studenti universitari, le cui esigenze abitative sono quotidianamente oggetto di attenzione da parte dei media);
– per ciò che concerne il non abitativo, l’attuazione di quanto previsto dalla riforma tributaria approvata un anno fa (e quindi su volontà del Governo e del Parlamento), e cioè l’introduzione di una cedolare secca anche per le locazioni non residenziali.
Proposte concrete, non dirompenti e comunque attuabili anche gradualmente. Le mettiamo sul tavolo.
Giorgio Spaziani Testa
da Confedilizia notizie, settembre ’24
Confedilizia notizie è un mensile che viene diffuso agli iscritti tramite le Associazioni territoriali della Confederazione.