Dopo aver bloccato in ventiquattr’ore la riforma al rialzo del catasto, Confedilizia ha scongiurato – questa volta in due settimane – l’aumento al 12,5% della cedolare secca sulle locazioni “a canone concordato”, che dal 2020 diventerà invece definitiva al 10%.
Sono vittorie di Confedilizia, dobbiamo dircelo forte e chiaro. Sul catasto, come abbiamo riferito sul notiziario di ottobre, il Governo ha prima inserito e poi eliminato dalla nota di aggiornamento al Def il progetto di riforma. Sulla cedolare, il lavoro è stato più lungo e articolato. Confedilizia ha iniziato la sua “campagna” alle 8 del mattino del giorno (il 16 ottobre) in cui il quotidiano Il Messaggero ha pubblicato l’indiscrezione sulla volontà del Governo di portare al 12,5%, in via permanente, la misura della cedolare. Da quel momento è iniziato un lavoro ininterrotto – fatto di comunicati stampa, di articoli sui giornali, di interviste televisive e radiofoniche, di interventi sui social network, di contatti con membri del Governo, di interlocuzioni con parlamentari della maggioranza e dell’opposizione – che ha portato l’Esecutivo a fare una vera e propria marcia indietro, approdando all’ipotesi migliore per i proprietari interessati: la stabilizzazione della cedolare del 10%, sinora prevista solo in via provvisoria.
Di positivo, nel testo del disegno di legge di bilancio, ci sono anche il rinnovo delle detrazioni per ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico nonché l’introduzione del nuovo “bonus facciate”, vale a dire la detrazione Irpef del 90% per gli interventi edilizi, ivi inclusi quelli di manutenzione ordinaria, finalizzati al recupero o al restauro della facciata degli edifici.
Siamo contenti così? Assolutamente no. Il testo del disegno di legge di bilancio, che approda in Parlamento proprio nelle ore di chiusura in tipografia di questo numero di Confedilizia notizie, presenta diversi problemi. Da un lato, manca la conferma della cedolare secca del 21% sugli affitti dei negozi (i locali di categoria C1 fino a 600 metri quadri di superficie) che la manovra dello scorso anno ha introdotto limitatamente ai contratti di locazione stipulati nell’anno 2019. Lo abbiamo subito messo in evidenza e lavoreremo senza sosta – chiedendo anche il sostegno delle associazioni dei commercianti – per convincere Parlamento e Governo a non rendersi responsabili di un’assurdità come quella di una misura introdotta per un solo anno e poi lasciata morire.
Ma la manovra entrata in Senato presenta un ulteriore intervento che non ci trova concordi: l’unificazione dell’Imu e della Tasi in un unico tributo (di fatto, l’eliminazione della Tasi). Il Governo, infatti, oltre a non essere sfiorato dall’idea di ridurre questo carico di tassazione insopportabile, peggiora la situazione in vari modi: 1. aumenta l’aliquota di base dal 7,6 all’8,6 per mille (cosa che non comporta, in sé, un aumento di tassazione, ma può avere l’effetto di portare quei Comuni che finora applicavano l’aliquota di base Imu e non applicavano la Tasi, ad aumentare l’aliquota di base); 2. con dubbia legittimità, fissa definitivamente all’11,4 per mille l’aliquota massima per alcuni Comuni (come Roma e Milano), rispetto al limite ordinario del 10,6; 3. fa scomparire qualsiasi collegamento ai servizi, presente ora nella Tasi; 4. aumenta la tassazione sui proprietari di immobili locati, scaricando su di essi la quota di imposta che nella Tasi era a carico dei conduttori; 5. mantiene imposizioni vessatorie come quelle sugli immobili “inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati” e su quelli sfitti per assenza di inquilini o acquirenti. Il tutto, quel che è peggio, presentato come un’opera di semplificazione. Anche su questo, naturalmente, ci adopereremo perché il Parlamento modifichi il testo proposto dal Governo.
g.s.t.
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da Confedilizia notizie, novembre ’19
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