Commissione Parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale
L’attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale,
gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica
NOTE GENERALI
Un breve excursus storico – Dal rimborso a piè di lista del costo storico al sistema basato su fabbisogni standard e capacità fiscale. Una transizione lenta.
In sintesi: forse il messaggio principale insito in questa nota è che una buona gestione dei soldi dei contribuenti a livello locale – tenendo conto di sensate esigenze di perequazione- deve basarsi su una buona teoria economica e su buona esperienza empirica. Spesso l’ideologia, in questo caso quella statalista, ha fatto dimenticare ciò.
Il principio del beneficio
Dal punto di vista teorico l’imposizione fiscale si fonda su due principii diversi, quello della capacità contributiva e quello del beneficio. Il principio della capacità contributiva collega la tassazione a indicatori diretti e indiretti relativi alle possibilità per il singolo contribuente di partecipare al finanziamento della spesa pubblica: la sua rilevanza è altresì segnalata dal fatto di essere esplicitamente menzionato nella nostra Costituzione (art. 53). Tuttavia –soprattutto con riferimento alla spesa pubblica locale, ma anche in termini generali – l’opinione pubblica e il legislatore italiano dovrebbero prestare maggiore attenzione al principio del beneficio, secondo cui le imposte sono una forma di pagamento a fronte dei servizi prestati e dei beni offerti da parte del settore pubblico dell’economia.
Come evidenziato più avanti, questa idea contrattuale del rapporto tra tassazione e spesa pubblica che è implicita nel principio del beneficio ben si connette al tema politico della responsabilizzazione dei governi locali. Secondo una prospettiva liberale, un sistema tributario in cui il principio del beneficio ha un ruolo più ampio spinge maggiormente alla valutazione dell’operato dell’amministrazione pubblica – locale e nazionale – come agente dei cittadini-contribuenti a cui deve rendere conto. E sotto il profilo concreto dell’imposizione fiscale futura, il principio del beneficio spinge verso la creazione di una service tax pagata da chi riceve i servizi offerti dal Comune, andando a sostituirsi in maniera strutturale all’IMU, che è largamente sconnessa da questo principio dello scambio contrattuale e che invece sposa il principio della capacità contributiva fino ad arrivare ad esiti sostanzialmente espropriativi.
La responsabilizzazione del governo locale
Il principio del beneficio si connette essenzialmente a un progetto di responsabilizzazione del governo locale: i cittadini valutano il modo in cui le loro imposte sono utilizzate in maniera efficiente per fornire servizi da parte dell’amministrazione locale. È di tutta evidenza come tale meccanismo di responsabilizzazione abbia una minore probabilità di funzionare bene in caso di finanza derivata, ovvero in un assetto istituzionale che – per ragioni storiche, culturali e politiche – è caratterizzato da trasferimenti da parte del livello centrale. Ciò vale dunque anche nel caso in questione, cioè nell’ambito di un meccanismo di perequazione basato sul raffronto tra fabbisogni standard e capacità fiscale. A maggior ragione il meccanismo di responsabilizzazione degli amministratori locali è fortemente impedito dalla presenza inerziale di una quota importante di rimborso della spesa storica, dal momento che le azioni (e inazioni) attuali da parte degli amministratori locali non hanno effetti su una quota parte di trasferimenti che sono meramente funzione del passato (spesa storica). A questo proposito, notiamo con preoccupazione come i dibattiti di finanza pubblica tendano a focalizzarsi su temi macroeconomici dando meno spazio ad argomentazioni microeconomiche relative ai cosiddetti “incentivi” (ovvero: quali sono le reazioni degli agenti economici – cittadini, imprese, amministratori pubblici – di fronte a regole, remunerazioni e punizioni diverse).
Davvero conviene spostare il prelievo dal reddito alla proprietà?
Ciò naturalmente non implica che teoria ed evidenza empirica di carattere macroeconomico debbano essere trascurate. In particolare, intorno a temi di tassazione e finanza pubblica il dibattito internazionale e nazionale è stato largamente influenzato – a nostro parere, in maniera eccessiva – dalla cosiddetta “visione OCSE” su tassazione e crescita (in particolare: Arnold et al. 2011). Sulla base di risultati econometrici piuttosto deboli [si veda sotto] tale visione suggerisce come lo spostamento del prelievo fiscale dalla tassazione diretta a quella indiretta, e dalla tassazione del reddito a quella della proprietà, abbia effetti positivi sulla crescita economica nel lungo termine. È interessante notare come – all’interno di questa visione OCSE – il tema del “mix delle imposte” (tax mix) venga enfatizzato in maniera decisa, a scapito di quello della pressione fiscale totale che risulta correlata negativamente con il PIL pro capite.
In un recente lavoro empirico si mostra invece come l’evidenza empirica che sta alla base di questa “visione OCSE” sia molto fragile, eccezion fatta per il legame negativo tra pressione fiscale e crescita nel lungo termine (Baiardi et al. 2017). Nella fattispecie, utilizzando tecniche econometriche maggiormente prudenti sulla precisione delle stime ed allargando il campione a un numero maggiore di Paesi OCSE e di anni (dal 1971 al 2014), si verifica come l’effetto positivo nel lungo termine di uno spostamento del prelievo dalle imposte dirette alle indirette, e dalle imposte sul reddito a quelle sulla proprietà, non risulti più significativo dal punto di vista statistico. Anzi: nel breve termine un aumento della tassazione sulla proprietà si correla negativamente con il PIL pro capite.
Che cos’è la capacità fiscale dei Comuni? Cosa la danneggia?
La capacità fiscale dei Comuni è in larga parte data dal patrimonio immobiliare, il cui valore in Italia sta scendendo da tempo: quasi un decennio. Dal punto di vista fiscale questo deterioramento della capacità fiscale appare meno immediatamente visibile in quanto la tassazione è basata sulla valorizzazione medio-ordinaria insita nelle rendite catastali. Dobbiamo stare attenti a non distruggere tale capacità fiscale a motivo di una tassazione patrimoniale miopicamente punitiva, iniziata con il 2012, e purtroppo di carattere ordinario invece che straordinario, una tantum.
Non ci si può nascondere dietro il paravento ideologico di un “anche i ricchi piangano” perché gli immobili diversi dalle “prime case” (soggetti a IMU) si trovano sullo stesso mercato delle “prime case”: se c’è un eccesso di offerta di case diverse dalla prima a motivo di rendimenti schiacciati verso lo zero dall’IMU e dalle altre imposte, il calo conseguente nei prezzi degli immobili ha effetto su tutti gli immobili, comprese le “prime case”.
Ci troviamo di fronte a un effetto ricchezza negativo, che – secondo i risultati empirici nella letteratura – è generalmente considerato di ampiezza minore rispetto a quello connesso alla ricchezza finanziaria. Tuttavia, esiste in Italia un “effetto leva”, dovuto al fatto che più del 70% del patrimonio totale degli italiani è di carattere immobiliare. Stime basate sulla letteratura più recente suggeriscono ad esempio che il calo dei valori immobiliari avvenuto nel 2013 si associ a un calo di 10,5 miliardi di euro nei consumi totali.
Questo computo si basa sul contributo empirico di Paiella [2004]: l’elasticità dei consumi rispetto alla ricchezza immobiliare è stimata in un intervallo tra 0,18 e 0,22. Prendendo il valore medio di 0,2, ciò implica che – per una diminuzione del 10% nel valore degli immobili – i consumi diminuiscano del 2%. La Banca d’Italia stima che nel 2013 gli immobili siano calati di valore del 4,4%: dal momento che i consumi individuali nel 2013 sono all’incirca 1.200 miliardi, e utilizzando l’elasticità di 0,2 stimata da Paiella, si può concludere come questo calo del 4,4% si associ a un calo dei consumi pari allo 0,88%: in termini assoluti si tratta di un calo di 10,5 miliardi di euro, cioè un importo vicino a quello necessario per finanziare il bonus fiscale degli 80 euro. Si tenga peraltro presente che il bonus degli 80 euro costituisce un aumento del reddito disponibile, che non necessariamente si traduce in un pari aumento di consumo.
Efficienza della spesa pubblica, tassazione e gap fiscale
Come si diceva sopra, per trattare del federalismo fiscale bisogna usare una buona teoria economica, supportata da evidenza statistico-econometrica rigorosa: sotto questo profilo, bisogna ad esempio rifuggire dall’idea di valutare il fenomeno dell’evasione fiscale soltanto in relazione alla tassazione, senza inserire nel quadro anche la spesa pubblica che da questo gettito fiscale è finanziata. A tale proposito, Barone e Mocetti – del Centro Studi di Bankitalia – mostrano in un recente articolo come i cittadini in un dato comune siano in media più propensi a giustificare l’evasione fiscale se la spesa pubblica in quel comune è meno efficiente. Pertanto i dati sul fiscal gap relativo all’IMU devono essere inquadrati sulla base dei due temi svolti sopra: bassa liquidità dei contribuenti che sono soggetti passivi dell’imposta, e maggiore propensione all’evasione in comuni con spesa pubblica meno efficiente.
NOTE SPECIFICHE
Incertezza relativa al meccanismo di perequazione
Riguardo al tema della lenta transizione verso un sistema che a regime prevede oggi un 50% dei trasferimenti ai Comuni basato sulla differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale, è necessario sottolineare la questione relativa all’incertezza della transizione stessa, sempre sottoposta a variazioni in corso d’opera, spesso per esigenze di finanza pubblica.
Una recente letteratura mostra chiaramente come l’incertezza sia un male per investimenti, produzione e occupazione, con un ruolo precipuo giocato dall’incertezza delle politiche economiche (Baker et al. 2016).
Nel caso del federalismo fiscale c’è anche un problema di scarsa chiarezza relativamente al meccanismo perequativo: si deve fare uno sforzo di comunicazione perché il meccanismo di trasferimenti legati a differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale sia meglio compreso da parte del pubblico. In altri termini, accanto allo sforzo di analisi e critica da parte di istituzioni rilevanti come la Corte dei Conti e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, risulta cruciale tradurre gli aspetti tecnici del finanziamento e della perequazione in una forma divulgativa capace di informare meglio i cittadini e le autorità locali, in modo tale che il meccanismo di responsabilizzazione degli amministratori locali funzioni meglio. A latere di ciò, un aspetto istituzionale che può lasciare perplessi è quello relativo al calcolo dei fabbisogni standard, che non viene effettuato direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze oppure – meglio – da un soggetto terzo (ad esempio l’Ufficio Parlamentare di Bilancio), ma da una società per azioni (SOSE: Soluzioni per il Sistema Economico Spa) posseduta per l’88% dal MEF stesso e per il 12% da Banca d’Italia.
I dettagli del meccanismo di perequazione
Il calcolo dei fabbisogni standard – e in misura minore delle capacità fiscali – si basa sull’analisi statistico-econometrica dei dati relativi alla spesa dei Comuni per le diverse aree, combinato con l’enucleazione di fattori esplicativi “giustificati” (che modificano verso l’alto o verso il basso il fabbisogno standard rispetto alla media nazionale) e di fattori “ingiustificati”, che contribuiscono a spiegare la spesa effettuata dai Comuni ma non la giustificano, ovvero non modificano il calcolo dei fabbisogni standard riconosciuti (UPB 2017). Naturalmente questo tipo di analisi è complesso e presuppone scelte più o meno discrezionali, che – in un ottica di trasparenza e di miglioramento dinamico del sistema – devono essere discusse e vagliate dal pubblico e dagli esperti in materia. Sotto questo profilo, emergono alcune scelte tecnico-politiche che lasciano alquanto perplessi e che sono già state rilevate sia da UPB che dalla Corte dei Conti presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
Una su tutte, che peraltro riguardo il calcolo non dei fabbisogni standard, ma delle capacità fiscali: si ha un “peculiare” trattamento della compensazione data ai Comuni per il mancato gettito TASI, che non entra nel computo della capacità fiscale. Ciò in particolare va a scapito ad esempio dei Comuni caratterizzati da una proporzione elevata di immobili diversi dalle prime case. Qual è la ratio di questa scelta?
Roma, 9 febbraio 2017
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Arnold, J. M., Brys, B., Heady, C., Johansson, A., Schwellnus, C. and Vartia, L. [2011]. “Tax Policy for Economic Recovery and Growth.” Economic Journal, 121, F59-F80.
Baiardi, D., Profeta, P., Puglisi, R. e Scabrosetti, S. [2017]. “Tax Policy and Economic Growth: Does It Really Matter?” SIEP Working Paper 718, disponibile qui.
Barone, G. e Mocetti, S. Int Tax Public Finance [2011]. “Tax morale and public spending inefficiency.” International Tax and Public Finance 18:724–749.
Baker, S. R., Bloom, N. e Davis, S. J. [2016]. “Measuring Economic Policy Uncertainty.” Mimeo , disponibile qui.
Marchionni, E., Pollastri, C. e Zanardi, A. [2017] “Fabbisogni standard e capacità fiscali nel sistema perequativo dei Comuni.” Nota di Lavoro 1, Ufficio Parlamentare di Bilancio, disponibile qui.
Paiella, M. [2004]. “Does wealth affect consumption?” Temi di discussione, Banca d’Italia, 510. Disponibile qui.