Si fa presto a dire “affitto casa”. Al di là della redazione del contratto, il vero problema è capire in quale regime fiscale si rientra in base al tipo di locazione. Le nuove regole sulla cedolare secca per gli affitti brevi, inserite nella Legge di Bilancio 2024, cambiano tutto. Se ci mettiamo nei panni di un proprietario di casa che vuole semplicemente locare il proprio appartamento, ci si accorge di quanto possa essere difficile districarsi tra i diversi regimi fiscali e contratti esistenti e di come sia probabile dover saltare da una parte ad un’altra se si vuole modificare in corsa la durata dei contratti e la tipologia di conduttori.
Aliquota al 26% sugli affitti brevi, il tradimento della ratio della “tassa piatta”
Attualmente sono in vigore ben tre regimi: quello ordinario e due riferibili alla cedolare secca. Dal 2024, potrebbero diventare quattro se dovesse confermarsi l’introduzione di una nuova aliquota al 26% della cedolare secca per i soli affitti brevi.
Una scelta che non soltanto non genera un gettito fiscale significativo (8,8 milioni di euro), ma potrebbe viceversa alimentare il sommerso, come ha denunciato anche la Corte dei conti.
Sarebbe poi la prima volta dal 2011, anno di introduzione della “tassa piatta”, che il legislatore inverte la rotta e concepisce una misura che penalizza i proprietari di casa e tradisce le ragioni per cui le aliquote sostitutive all’Irpef sono state concepite.
Irpef, cedolare secca al 26%, al 21% o al 10%? Quale applicare?
Partiamo dal regime ordinario che prevede l’assoggettamento fiscale dei redditi derivanti dalla locazione attraverso l’applicazione dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali. È il regime “originario e generale” al quale possono essere ricondotte tutte le tipologie dei contratti di locazione.
In alternativa, dal 2011 è possibile applicare il regime della cedolare secca, ovvero una tassa piatta che sostituisce l’Irpef e le addizionali. In pratica i redditi derivanti dalle locazioni non confluiscono sulla base imponibile Irpef, ma vengono tassati con un’aliquota diversa (e più bassa) da quella prevista per i diversi scaglioni di reddito.
Ma quale aliquota della cedolare secca applicare? Attualmente la legge prevede:
- l’aliquota del 21% per i contratti a canone libero
- l’aliquota del 10% per i contratti a canone concordato (per i Comuni densamente popolati o colpiti da calamità naturali, per i contratti di locazione a studenti universitari fuori sede o per le locazioni transitorie dai 30 giorni fino ai 18 mesi)
E per quanto riguarda gli affitti brevi, quelli fino a 30 giorni?
Per loro si prospetta una stretta ingiustificata: l’aliquota “standard” del 21% è stata innalzata al 26% nel Ddl di Bilancio 2024 per chi affitta più di una casa con tale tipo di locazione, portando quindi a tre le tipologie di aliquote possibili della cedolare.
Una misura che sovraccarica l’impianto normativo e che genera un ulteriore aggravio impositivo a danno dei proprietari di casa che non optano per un contratto transitorio o di lunga durata. Si tratta di una scelta legislativa coercitiva e “punitiva”, compiuta attraverso una pericolosa discriminazione fiscale. Non se ne capiscono le ragioni dato che, tra l’altro, colpire gli affitti brevi non significa solo limitare le scelte di chi si sposta a scopo turistico, ma va a impattare su chi viaggia per motivi di lavoro o perché ha la necessità di pernottare un tempo limitato in una città diversa da quella di residenza per motivi familiari.
La scelta della cedolare secca al 26% per gli affitti brevi, inoltre, non sarebbe vantaggiosa neppure per le casse dello Stato. A dirlo, nero su bianco, è addirittura la Corte dei conti che lancia l’allarme di una maggiore evasione fiscale.
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Corte dei conti: “la cedolare secca al 26% fa aumentare il sommerso”
Il commento della Corte dei conti al comma 1 dell’articolo 18 del Ddl di Bilancio 2024, nella recente audizione presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, prende avvio dal sottolineare come il regime della cedolare secca sulle locazioni “si proponeva di stimolare l’emersione delle locazioni non denunciate” e di come la scelta di aumentare al 26% la misura per chi affitta più di un immobile possa, viceversa, far aumentare l’evasione fiscale. Ciò a causa dell’effetto trascinamento: affittando due case, infatti, verrebbe applicata l’aliquota al 26% e non del 21% anche sulla prima locazione. Quindi, per evitare un aumento impositivo, c’è il rischio – neanche troppo improbabile – che chi affitta più di un appartamento, lo faccia “in nero”.
Basterebbe solo questo commento per far capire come la misura debba essere smantellata in sede di esame parlamentare. Ma la Corte dei conti aggiunge di più.
Sottolinea come gli effetti finanziari positivi che ne deriverebbero sarebbero di “soli 8,8 milioni di euro” e come genererebbe una nuova forma di “segmentazione del sistema fiscale”, con buona pace della semplificazione.
6.12.2023