SOMMARIO: a) Attraversamento di condutture; b) Chiostrine; c) Differenze tra cortili e intercapedini; d) Di proprietà individuale; e) Evasione; f) Funzione; g) Modificazione della destinazione; h) Nozione; i) Opere vietate; l) Pavimentazione; m) Presunzione di comproprietà; n) Tra edifici limitrofi e autonomi; o) Uso; p) Utilizzazione del sottosuolo; q) Vanelle o cavedii.
a) Attraversamento di condutture
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l’uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad alimentare l’impianto termico del suo appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 2002, n. 12262, G. c. D. ed altri.
Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non può, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva proprietà, distinto dai fondi a servizio dei quali la cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell’imposizione di una servitù. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua proprietà, rimanendo irrilevante che tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso nell’area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.
* Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1977, n. 1355.
b) Chiostrine
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani o porzioni di piano, attribuite per titolo in proprietà esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell’edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l’edificio, appartengono in proprietà comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a piano terra, ancorché essi non siano proprietari delle chiostrine.
* Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435.
c) Differenze tra cortili e intercapedini
Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da più fabbricati contermini, che sia destinato, nell’ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano, consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell’ambito del rapporto di vicinato e non di comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata, svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3380.
d) Di proprietà individuale
Allorché un cortile già appartenente ad un condominio diventi proprietà individuale, da un lato il proprietario è obbligato a rispettare le aperture esistenti all’atto della separazione e dall’altro i proprietari dell’immobile a cui era annesso il cortile non possono creare nuove vedute (né altre servitù) e debbono da quel momento rispettare le norme sulle distanze legali tra proprietà confinanti.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1984, n. 101, A. c. A.
Allorché si verifica la separazione tra la proprietà di un cortile (o di altro bene rientrante in astratto nel novero di quelli cui si riferisce la presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ.) e la proprietà delle unità immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte proprietà vanno disciplinati non già secondo l’art. 1102 cod. civ. sebbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cioè dei rapporti che corrono tra proprietà contigue separate, per cui, tra tali proprietà, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo che deroghi al rispetto di tali distanze, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile è obbligato a rispettare le aperture esistenti all’atto della separazione, i proprietari delle singole unità immobiliari non possono creare nuove vedute sul cortile. (Nella specie trattavasi di un’area di proprietà esclusiva, destinata, in dipendenza della situazione dei luoghi, a cortile).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605, A. O. c. A.S.
e) Evasione
Ai fini della configurazione del reato di evasione l’ambito di fruibilità dello spazio della persona ristretta agli arresti domiciliari è limitato al luogo in cui questa conduce vita domestica, per definizione strettamente riferibile allo spazio destinato alle relazioni di vita comunitaria di quanti in esso coabitano, con esclusione quindi del cortile condominiale.
* Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 1995, n. 8248, ud. 23 marzo 1995, B., in Riv. pen. 1996, 332
È configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.
* Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 8150, ud. 26 aprile 1995, I., in Riv. pen. 1996, 332.
f) Funzione
Negli edifici in condominio, poiché la funzione dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi si prospettano, lo spazio aereo sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini qualora la naturale destinazione dell’area comune ne risulti compromessa.
* Trib. civ. Milano, sez. IV, 18 novembre 1996, n. 11127, G. c. C., in Arch. loc. cond. e imm. 1997, 856.
Negli edifici in condominio poiché la funzione dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 comma terzo c.c., l’utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. Ne discende il diritto degli altri condomini di opporsi, ai sensi dell’art. 840 comma terzo cit., a siffatta utilizzazione esclusiva dello spazio aereo, senza necessità di chiamare in causa altri condomini al di fuori di quelli cui s’addebita la responsabilità della violazione che s’intende eliminare, non ricorrendo una ipotesi di litisconsorzio necessario.
* Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1993, n. 966, I. c. T.
g) Modificazione della destinazione
Affinché la delibera assembleare che attribuisce ai condomini la facoltà di occupare il cortile comune con autovetture proprie sia legittima, è necessario che ciò avvenga senza pregiudizio per il godimento della proprietà o pertinenze degli altri condomini, anche se lo spazio limitato non consenta il parcheggio contemporaneo delle vetture di tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Napoli, sez. II, 3 gennaio 2002, M. c. Condominio Via C. 22 in Napoli, in Arch. loc. cond. e imm. 2002, 754.
Il notaio, in occasione della stipula del contratto “definitivo”, ha l’obbligo, ai sensi dell’artt. 1176 e 1375 c.c., di informare gli acquirenti – ove questi ultimi non ne siano già a conoscenza aliunde – della eventuale circostanza per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella specie il cortile dell’edificio di cui faccia parte l’appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa – in difformità rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto “preliminare”, ed in deroga rispetto all’art. 1117 c.c. – sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di proprietà esclusiva di un singolo soggetto (nella specie, la società venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilità conseguenti all’inadempimento di un tale obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto “definitivo”, gli acquirenti dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2000, n. 6514, C. c. F.
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino può servirsi delle parti comuni a condizione che non ne alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti, di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull’entità materiale della cosa, alterandone in tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volontà dei compartecipanti ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall’uso o dalla natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all’uso degli altri condomini in guisa da turbare l’equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, è stata ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un’unità immobiliare sita ad un livello più alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del traffico veicolare a servizio dell’unità immobiliare utilizzata non più ad uso abitativo, bensì commerciale).
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, G. c. T.
h) Nozione
Ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., deve qualificarsi come cortile lo spazio esterno che abbia la funzione non soltanto di dare aria e luce all’adiacente fabbricato, ma anche di consentirne l’accesso. (La Corte, nel formulare il principio summenzionato, ha ritenuto corretta la decisione del giudice di appello che aveva escluso la natura condominiale di un’area adiacente al fabbricato, rivendicata dal condominio nei confronti dell’originario unico proprietario e costruttore, rilevando che l’area in questione non era stata mai utilizzata dai condomini ma in via esclusiva da un terzo al quale l’aveva affittata il costruttore che se ne era riservata la disponibilità).
* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2003, n. 16241, Cond. Via P. 4 in Roma c. Ist. Autonomo Case Popolari Prov. Roma ed altri.
Il cortile, tecnicamente, è l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all’ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 c.c., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione.
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, Lo. c. L. ed altra.
La presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilità degli edifici circostanti, sicché nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che, oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altresì l’esigenza dell’accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., 23 marzo 1970, n. 783.
i) Opere vietate
È imprescrittibile, perché diretta alla tutela del diritto di (com)proprietà, l’azione con cui i comproprietari di un cortile – utilizzato dalla convenuta come parcheggio – lamentino la violazione della destinazione dello spazio comune, che – secondo la norma del regolamento condominiale di natura contrattuale – debba essere lasciato libero e sgombro, attesa la natura di vincolo di natura reale – assimilabile a un onere reale o a una servitù reciproca – e non semplicemente obbligatoria della destinazione impressa dalla norma regolamentare. (La Corte ha confermato la sentenza impugnata che, escludendo la natura negoziale del vincolo imposto dalla norma del regolamento condominiale di natura contrattuale, invocato dagli attori, aveva disatteso l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta che aveva dedotto di avere utilizzato l’area in oggetto come parcheggio da oltre dieci anni).
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 2004, n. 2106, Coop. S. S.r.l. c. P. ed altri.
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di «bovindi»).
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
L’utilizzazione della cosa comune può avvenire da parte di uno o più compartecipi alla comunione anche in modo particolare e diverso da quello degli altri, senza sconfinare in abuso, sempre che la destinazione della cosa resti rispettata: a tal fine la legittimità d’un tale uso va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto tra uso diverso e destinazioni possibili della cosa quali stabilite, anche per implicito, dalla volontà comune dei condomini. (In base a tale principio, la corte di cassazione ha confermato la decisione del giudice del merito che aveva considerato incompatibile con la destinazione a cortile dell’area comune la costruzione su di essa di gabinetti da parte di alcuni condomini).
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1990, n. 4566, D. c. P.
l) Pavimentazione
La sostituzione della pavimentazione del cortile condominiale è opera di ordinaria manutenzione e non già innovazione, essendo quest’ultima costituita dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino l’alterazione dell’entità sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione e non da mutamenti delle sue modalità di utilizzazione o da modificazioni e sostituzioni che non ne alterino la struttura sostanziale da precedente destinazione.
* Trib. civ. Piacenza, 5 febbraio 1991, in Arch. loc. cond. e imm. 1991, 119.
La pavimentazione di un cortile condominiale, originariamente in terra, può essere valutata come ricostruzione o riparazione straordinaria di notevole entità per la quale è sufficiente che la deliberazione venga assunta con l’approvazione di un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989, V. c. Condominio di via T., 31, Milano, in Arch. loc. cond. e imm. 1990, 327.
m) Presunzione di comproprietà
In tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono oggetto di proprietà comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l’accertamento della destinazione particolare del bene al servizio di una o più determinate unità immobiliari. Pertanto, non è necessario, ai fini del riconoscimento della proprietà collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilità specifica che da esso tragga ciascuna delle unità dell’edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unità al fine di escludere il diritto di tutti i proprietari sul bene stesso. Né è sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unità immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilità di presa d’aria e luce o di accesso, non esaurendo dette utilità le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l’altro, al parcheggio di veicoli o al deposito temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, A. c. A.G. ed altri.
In tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono oggetto di proprietà comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l’accertamento della destinazione particolare del bene al servizio di una o più determinate unità immobiliari. Pertanto, non è necessario, ai fini del riconoscimento della proprietà collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilità specifica che da esso tragga ciascuna delle unità dell’edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unità al fine di escludere il diritto di tutti i proprietari sul bene stesso. Né è sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unità immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilità di presa d’aria e luce o di accesso, non esaurendo dette utilità le potenzialità di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l’altro, al parcheggio di veicoli o al deposito temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unità.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, A. c. A.G. ed altri, in Arch. loc. cond. e imm. 2002, 42.
In tema di condominio di edifici la presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilità degli edifici circostanti, sicché nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altresì l’esigenza dell’accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10309, G. c. F.
La presunzione di proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovano fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e sono obiettivamente destinati a dare aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano.
* Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1991, n. 7630, D. c. P.
I cortili sono previsti espressamente dall’art. 1117 c.c. fra le parti dell’edificio che si presumono comuni, salvo che il contrario risulti da titolo. Deve considerarsi cortile non soltanto lo spazio esistente nell’interno di un fabbricato, circoscritto dalla superficie del suolo, ma anche tutta l’area soprastante, limitata ai lati dalle costruzioni che la fronteggiano, e delle quali esso può ritenersi un accessorio, destinato a dare aria e luce ai vani delle costruzioni stesse; per tali sue speciali caratteristiche la legge presume che il cortile rientri nelle cose del condominio, sicché ne consegue che i proprietari ne usino iure domini e non iure servitutis. La presunzione di comunione, che è dunque fondata su questa attitudine funzionale obiettiva del cortile al servizio e al godimento collettivo, opera anche se il cortile si trova circondato (ed è accessorio) da edifici diversi.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1991, inedita.
n) Tra edifici limitrofi e autonomi
Con riguardo ad un cortile comune a più fabbricati ma in possesso di un solo condomino, il giudizio contro di questi promosso da altro condomino per sentirsi riconoscere condomino del cortile stesso per una quota pari alla metà, nel quale sia invocata dal convenuto, in via riconvenzionale, la verificatasi usucapione dell’intero immobile in suo favore, deve essere svolto nei confronti di tutti i proprietari dei fabbricati circostanti sussistendo una situazione di litisconsorzio necessario in ragione dell’unità ed inscindibilità del rapporto plurisoggettivo su cui deve incidere la richiesta pronuncia giudiziale.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9092, R. c. S.
Il regime condominiale riguarda non solo le parti comuni di uno stesso edificio diviso per piano o porzioni di piano tra proprietari diversi, ma anche parti comuni – quale il cortile – di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti a differenti proprietari, sempreché tali parti, anche se fisicamente distaccate, siano destinate al servizio comune dei proprietari medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1904, Soc. E. c. Cond. via F.
Quando un cortile sia comune a due edifici, ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo riguardo una disciplina contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l’uso del cortile da parte di questi ultimi non è assoggettato sia al regolamento dell’uno che a quello dell’altro condominio, essendo, invece, applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in particolare, l’art. 1102 cod. civ., in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1986, n. 1598, P. c. Cond. V. C.A.
La presunzione di proprietà comune posta dall’art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. Né tale presunzione può essere vinta, nel silenzio del titolo di acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilità di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli edifici, in quanto l’utilità particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e normale del bene, che è di dare aria e luce ai circostanti edifici.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1984, n. 4625, A. c. P.
La presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e non è applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari diversi, e destinato all’uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all’accesso a questo ed al godimento anche dell’altro edificio quanto all’aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l’onere di provarne i fatti costitutivi.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 647, L. c. C.
La presunzione di proprietà comune dei cortili, dettata dall’art. 1117 c.c. in materia di condominio, è applicabile anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la presunzione di comunione – la quale trae origine dal silenzio del titolo – è necessario che il titolo contrario – vale a dire l’attribuzione di proprietà esclusiva ad una o a più determinate persone – risulti in modo non equivoco.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318, in Arch. civ. 1982, 775.
La presunzione di comunione dei cortili prevista dall’art. 1117 cod. civ., e quindi il regime delle parti comuni dell’edificio, è applicabile per analogia anche al cortile compreso tra edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, trovando fondamento sull’obiettiva destinazione del cortile al servizio o utilità delle abitazioni dei proprietari che vi si affacciano o lo circondano, e tale situazione può verificarsi anche nell’ipotesi della destinazione del cortile per l’uso ed i bisogni di più edifici limitrofi.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2984, Soc. A. c. Cond. A.
Il cortile ubicato fra due fabbricati deve ritenersi di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., qualora ne costituisca accessorio, in quanto stabilmente destinato all’uso ed all’accesso dei medesimi. Ne consegue che la domanda, con la quale il proprietario di un fabbricato chieda, nei confronti del proprietario dell’altro, l’accertamento della comunione di tale cortile, al fine di conseguire la rimozione di una costruzione realizzata dal convenuto su parte del cortile stesso, non è soggetta al rigoroso onere probatorio previsto in tema di rivendicazione, ma trova sufficiente fondamento nella dimostrazione di detta relazione di accessorietà, evincibile dall’obiettiva situazione dei luoghi, ed anche dagli elementi indiziari forniti dalle risultanze catastali.
* Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, B. c. T.
o) Uso
In tema di condominio di edifici, l’art. 1102 c.c. sull’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante non pone alcun limite minimo di tempo e di spazio per l’operatività delle limitazioni del predetto uso, pertanto può costituire abuso anche l’occupazione per pochi minuti del cortile comune che impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva vietato il parcheggio di motoveicoli nello spazio del cortile condominiale, prospiciente l’immobile di proprietà di uno dei condomini, senza dare rilievo alla sporadicità o saltuarietà delle soste, bastando che queste ostacolassero l’accesso a tale immobile).
* Cass. civ., sez. VI, 18 marzo 2019, n. 7618, M. c. T.
L’uso di un bene, quale, nella specie, un cortile, ricompreso fra le parti comuni di un condominio edilizio deve trovare regolamentazione nella disciplina di cui agli artt. 1117 e ss. c.c., la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro. Non può, quindi, ipotizzarsi un’azione negatoria ex art. 949 c.c. per la cessazione delle molestie attribuite ad alcuni condòmini, i quali transitano con automezzi in un cortile condominiale, in quanto la qualità di partecipanti riconosciuta in capo agli stessi deve essere regolata sulla base dell’art. 1102 c.c., norma avente per oggetto l’uso legittimo delle cose comuni.
* Cass. civ.. sez. II, 24 luglio 2018, n. 19550.
In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell’edificio, il termine «godimento» designa due differenti realtà, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio, con la prima intendendosi l’utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall’unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell’uso delle parti comuni quale effetto dell’attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti comuni elencate nell’art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini) sono talora, suscettibili anche di uso soggettivo, uso, per vero, particolare ed anomalo, diverso, cioè, da quello connesso con la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad esempio, per l’applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che i cortili, funzionalmente destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione «oggettiva») ben possono esser destinati (anche) ad un uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talché, pur costituendo «normalmente» oggetto di trasferimento conseguenziale al trasferimento della proprietà del piano o porzione di piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettivo, oggetto di diversa pattuizione, quale, come nella specie, l’esclusione del trasferimento della relativa quota di comproprietà dell’uso (soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le autovetture di tutti i condomini (sì che la clausola di esclusione de qua appare destinata a perseguire interessi non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell’ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non è al singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all’uopo, necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, giusta disposto dell’art. 1108, comma 3 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1° marzo 2000, n. 2255, L. ed altro c. F.
Qualora il cortile di un condominio sia destinato all’esclusivo transito pedonale, l’usufruttuario dei vani terranei non può aprire su di esso un accesso per automezzi, atteso che tale modifica esorbita dall’ambito di un uso «più intenso ed esteso» dell’area comune, rientrando in quello delle innovazioni vietate ai sensi dell’art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1991, n. 9273, B. c. Condominio Via G., 47 di Isernia.
In tema di azione di reintegrazione, la dimostrazione dell’esercizio di fatto del possesso deve essere fornita dall’attore, ai sensi dell’art. 2697 c.c.; in mancanza di tale prova la domanda va rigettata, poiché l’invocata inversione dell’onere della prova è collegabile solo ad eccezionali previsioni di legge (nella specie gli attori, proprietari e possessori d’un appartamento condominiale, lamentavano la sottrazione di parte del cortile comune al loro godimento).
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 28 giugno 1990, in Nuovo dir. 1991, 62.
In un edificio in condominio la funzione naturale di un cortile, di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, non è incompatibile con l’appartenenza o la destinazione di esso all’uso esclusivo di uno o più condomini, né l’obbligo da parte di costoro di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in favore degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1984, n. 1209, P. c. F.
Il cortile (sia esso interno al fabbricato condominiale ovvero racchiuso da costruzione di proprietà distinta e destinato a dare ad esse accesso, luce ed aria) rientra fra le cose in comunione ex art. 1117 cod. civ. che i proprietari pro quota usano iure domini e non iure servitutis, con la conseguenza che il comportamento relativo del singolo partecipante alla comunione costituisce utilizzazione legittima della cosa comune ex art. 1102 cod. civ., se mantenuto nei limiti posti dalla norma stessa (nella specie, transito pedonale e veicolare attraverso il cortile, previa apertura di nuovi accessi ad esso attraverso il muro delimitante fabbricati insistenti sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1982, n. 6336, A. c. P.
p) Utilizzazione del sottosuolo
Il comproprietario di un cortile può legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un bene di sua proprietà esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perché da un lato non perciò ne viene alterata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unità immobiliari degli altri condomini; dall’altro rientra nella funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9785, Cond. S. c. D.
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l’uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad alimentare l’impianto termico del suo appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile stesso analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4394, B. c. Bellini.
Con riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo condomino per l’installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua proprietà esclusiva, la configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da parte di questo altro condomino (corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà e non di un mero diritto di servitù di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, «ad colorandam possessionem», dalla sua inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell’edificio (art. 1117 cod. civ.), nonché l’accertamento ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore, traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest’ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432, C. c. D.
q) Vanelle o cavedii
Il cavedio (o chiostrina, vanella, pozzo luce), cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio condominiale, essendo destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali bagni, disimpegni, servizi), è sottoposto al regime giuridico del cortile, qualificato bene comune, salvo titolo contrario, dall’art. 1117, n. 1, c. c., senza che la presunzione di condominialità possa essere vinta dal fatto che al cavedio si acceda solo dall’appartamento di un condomino o dal fatto che costui vi abbia posto manufatti collegati alla sua unità (nella specie, corridoio in pietra, griglie metalliche, scale, loggiato), in quanto l’utilità particolare che deriva da tali fatti non incide sulla destinazione tipica e normale del bene in favore dell’edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. XIII, 4 giugno 2015, M. ed altra c S.r.l. I., in Arch. loc. cond. e imm. 2015, 534.
Il cavedio – talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce – è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall’art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, M. s.r.l. c. Cond. Via S. 36, Milano.
Le vanelle o cavedii, che consistono in un cortile di dimensioni ridotte circondato da tutti i lati, con funzione di assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell’edificio, sono soggette allo stesso regime del cortile. Tali spazi, pur potendo essere di proprietà esclusiva di taluni condomini, si presumono comuni e costituiscono una pertinenza dell’edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 novembre 1989, in Arch. loc. cond. e imm. 1991, 154.
RASSEGNA TEMATICA DI GIURISPRUDENZA LOCATIZIA E CONDOMINIALE
Con la collaborazione della redazione dell’Archivio delle locazioni, del condominio e dell’immobiliare e della Casa editrice La Tribuna.
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