Direttiva “case green” nessun obbligo, solo obiettivi ma ideologici e inutili
Poteva andare molto peggio, ma anche molto meglio. Sicuramente andrà diversamente. La versione definitiva della direttiva cosiddetta “case green”, approvata dal Parlamento europeo il 12 marzo, non fissa obblighi per i proprietari di immobili. Ciò è stato possibile soprattutto grazie all’impegno di chi, come Confedilizia, ha lottato contro un’impostazione inziale ideologica e punitiva, che avrebbe costretto milioni di famiglie a spese insostenibili in breve tempo. Rimangono solo degli obiettivi. Quali?
Viene richiesto ai Paesi Ue di realizzare un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici che garantisca entro il 2050 la decarbonizzazione di tutti gli immobili, in linea con gli obiettivi di emissioni zero di tutta l’economia europea. Per arrivare a ciò le tappe intermedie sarebbero una riduzione di almeno il 16% dell’utilizzo di energia entro il 2030 da parte delle abitazioni e una del 20-22% entro il 2035. Le nuove costruzioni, invece, dovrebbero essere a emissioni zero già dal 2030. Scompaiono, quindi, i diktat inclusi nella proposta iniziale riguardanti il passaggio da una categoria energetica a un’altra. Nel 2040, poi, dovrebbero essere eliminate completamente le caldaie alimentate a combustibili fossili, che, comunque, non potrebbero essere più sovvenzionate già dall’anno prossimo, il 2025.
Nella migliore delle ipotesi, quindi, si tratta di obiettivi irrealizzabili e hanno perciò poco valore. Nella peggiore, invece, comporterebbero sacrifici ingiusti ai proprietari, solo spostati un po’ più in là nel tempo rispetto all’ipotesi originaria.
La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri
La scarsa realizzabilità del provvedimento è di natura sia politica che pratica. Come ogni direttiva, infatti, dovrà passare dal recepimento da parte dei singoli governi, che in questo caso dovranno redigere piani di ristrutturazione. Saranno gli esecutivi a dover legiferare nel concreto con obblighi, divieti, incentivi, e questo, per fortuna, aggiungiamo, depotenzia molto l’impatto della direttiva. Dopo il clamore che la spesa per il superbonus ha provocato, perlomeno in Italia non sono disponibili grandi risorse economiche per l’adeguamento di un numero così vasto di edifici, 9,7 milioni, per cui sarebbe necessario investire 1000 miliardi di euro secondo Federcepicostruzioni. Naturalmente, non essendoci un vero bilancio comune, ed essendoci ostacoli a forti spese aggiuntive, tali risorse non esistono neanche a livello europeo. Al di là dell’aspetto economico l’orientamento dell’Esecutivo nazionale attuale non è, comunque, quello di costringere le famiglie italiane a salassi delle proprie finanze.
Non solo, rimanendo nell’ambito della politica, alle prossime elezioni europee di giugno gli equilibri potrebbero cambiare e ad acquistare forza potrebbero essere visioni più simili a quelle del governo italiano e di quei Paesi che nei mesi scorsi si sono opposti a una direttiva radicale e ideologica.
C’è poi l’aspetto dell’irrealizzabilità tecnica che si incrocia con quella economica: ridurre del 16% del consumo di energia delle abitazioni entro il 2030 significa investire in nuove fonti di energia, materiali e apparecchiature così da risparmiare 75 TWh, quando il superbonus ha generato un taglio solo di 12/13 TWh.
Il contributo delle emissioni europee si è dimezzato negli anni
Più importante dell’irrealizzabilità è probabilmente l’inutilità delle misure. Se l’obiettivo è contribuire a ridurre il riscaldamento del globo attraverso una diminuzione delle emissioni di gas serra come la CO2, l’Unione europea può fare poco, anzi, sempre meno. I dati dell’Unep (United Nations Environmement Programme) sono molto eloquenti: tra il 1850 e il 2021 i Paesi dell’attuale Ue hanno prodotto il 13% delle emissioni di anidride carbonica, senza contare quelle indirettamente causate attraverso la propria presenza economico-politica nel resto del globo, mentre nel 2021 la percentuale di gas serra responsabilità della Ue era solo del 7%. Un 7% che, ricordiamolo, va confrontato con la quota dell’economia mondiale rappresentata proprio dall’Unione Europea, il 18,5%. Significa che inquiniamo molto meno della metà della media in proporzione a quanto produciamo economicamente. E si tratta di numeri in rapida discesa. La stessa Unep sottolinea che anche a politiche vigenti, quindi senza recepimento della direttiva in parola, il livello di emissioni pro capite nel 2030 sarà sceso del 37% rispetto al 2015, mentre mediamente nelle potenze del G20 la riduzione sarà del 6%.
L’iniquità dei provvedimenti approvati dal Parlamento europeo, per quanto stemperati dall’impegno di chi vi si è opposto, sta proprio qui, nel costringere le famiglie ad attingere a risparmi sempre più esigui o i governi, a sostituirsi ad esse, aumentando i debiti e distogliendo risorse da altre finalità più utili per raggiungere obiettivi che, anche nella remota ipotesi fossero realizzabili, non sarebbero di alcun reale beneficio per i cittadini.
8.4.2024