La riunione notturna del Trilogo del 12 ottobre si è conclusa, dopo dieci ore, all’alba. E in questo nuovo mattino la direttiva EPBD, conosciuta ai più con l’appellativo “case green”, ha trovato un nuovo corso. Infatti per la prima volta, da quando il testo per l’efficientamento energetico degli edifici è stato pubblicato, s’intravede la possibilità di realizzare un dispositivo normativo capace di rappresentare per tutti i Paesi e i cittadini una risorsa e non una minaccia.
Dal quel fatidico dicembre 2021, ovvero da quando la Commissione europea ha proposto una revisione della direttiva contraddistinta da un eccesso di zelo ecologico, abbiamo vissuto ogni giorno con l’angoscia di vedere attuarsi un testo potenzialmente pericoloso, soprattutto per il nostro Paese. Due anni di timori evidenziati non solo dalle frange politiche di segno opposto ai relatori della direttiva, ma anche da istituzioni, tecnici e addetti ai lavori.
Grazie all’impegno costante del Governo italiano, di altri Stati Ue come la Germania (guidata dal Ministro dell’Edilizia Klara Geywitz), alla saggezza di alcuni membri influenti della Commissione Industria ed Energia del Parlamento europeo e al lavoro incessante della Confedilizia, il buon senso ha prevalso sull’estremismo ambientalista.
Di tutto l’affaire direttiva “case green” tuttavia c’è un punto che è fondamentale sottolineare e diffondere il più possibile affinché se ne abbia consapevolezza: è inaccettabile che la Commissione Europea possa proporre di introdurre riforme caratterizzate da un estremismo ecologista e da ambizioni che si concentrano esclusivamente su sé stesse, ignorando le conseguenze che si abbatteranno sui cittadini.
È indice di mancanza di senso della realtà, coerenza, responsabilità e praticità e non dovrebbe essere tollerato in un’istituzione come la Commissione europea, dotata di poteri esecutivi e al di fuori del controllo del voto popolare.
La necessità di progetti sostenibili e attuabili
Purtroppo, è proprio ciò che è accaduto il 14 ottobre 2020, quando la Commissione Europea ha presentato la “Renovation Wave Strategy” una roadmap che, tra l’altro, prevedeva di migliorare l’efficienza energetica degli edifici, caratterizzata da fretta, eccessiva ambizione e da una mancanza di buon senso. La direttiva “case green,” che agisce come suo braccio esecutivo, ha purtroppo seguito la stessa linea perché nel suo testo si ritrovano le stesse idee estremiste e irrealistiche provenienti da relatori che sembravano incapaci di discernere tra favole e realtà.
Leggendo ora la dichiarazione dell’allora vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, Frans Timmermans, in occasione della presentazione della “Renovation Wave Strategy” è evidente come l’obiettivo di ridurre le emissioni a tutti i costi e guadagnarsi un posto tra i sostenitori della rivoluzione verde abbia oscurato gli aspetti critici del Piano europeo per migliorare l’efficienza energetica degli edifici in tutti i Paesi membri.
“Vogliamo che tutti in Europa abbiano una casa che possano illuminare, riscaldare o raffreddare senza spendere troppo e senza danneggiare il pianeta. La Renovation Wave- disse Timmermans – migliorerà i luoghi in cui viviamo, lavoriamo e studiamo, riducendo al contempo il nostro impatto sull’ambiente e offrendo lavoro a migliaia di europei. Abbiamo bisogno di edifici migliori se vogliamo che la rigenerazione sia sostenibile”.
Peccato che per creare un mondo migliore e sostenibile i buoni propositi non solo non bastano ma rappresentano anche un pericoloso incentivo nel portare avanti progetti senza nessuna aderenza alla realtà, capaci di mettere in difficoltà non solo migliaia di famiglie europee ma anche il mercato edilizio.
Quali sarebbero state le conseguenze se la direttiva fosse stata approvata nella versione iniziale proposta dalla Commissione? Eccole: perdita di valore degli edifici e quindi del frutto dei risparmi della famiglie; svalutazione delle garanzie acquisite dalla banche per la concessione dei mutui ipotecari; minore possibilità di accesso al credito per imprese e cittadini con il conseguente freno alla crescita dell’economia; rischio di deturpare gli immobili a causa di pesanti interventi di difficile realizzazione (si pensi ai centri storici delle città italiane) e, infine, come se tutto ciò non bastasse, il ritorno di quelle dinamiche turbative del mercato di cui abbiamo già fatto esperienza con il superbonus.
La direttiva avrebbe portato ad un aumento incontrollato dei prezzi alla difficoltà a reperire le materie prime e manodopera specializzata. Insomma fin da subito la direttiva si è presentata come la ricetta perfetta per vedere cantieri aperti in fretta e furia rimanere fermi al palo e, in un colpo solo, svalutare il risultato dei sacrifici di milioni di risparmiatori: la casa.
La vittoria del buon senso: le posizioni estremiste cancellate
Per fortuna questo non succederà: l’onda dell’ambizione cieca si è infranta sugli scogli del buon senso e con essa anche le posizioni più estremiste e irrealistiche della proposta direttiva che sono state infine espunte dal testo. Sulla base del testo negoziato durante il trilogo del 12 ottobre scorso, rimarranno in vigore le attuali certificazioni energetiche degli edifici e non vi sarà più l’armonizzazione delle certificazioni energetiche a livello Ue, inizialmente previste.
Ma soprattutto gli Stati membri avranno carta bianca per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici elaborando piani nazionali per le riduzioni dei consumi da qui al 2050. “Riconosciamo che il patrimonio edilizio di ogni Stato membro è unico”, ha sottolineato il relatore di maggioranza della direttiva l’irlandese Ciarán Cuffe. Meglio tardi che mai.
10.11.2023