di Corrado Sforza Fogliani*
Lo stato liberale ha sempre conosciuto un’imposizione reddituale. Reddituale era la legge del 1865 istitutiva dell’imposta fabbricati. Reddituale era (e dovrebbe essere pure oggi) il Catasto, anche in reazione ai Catasti preunitari (che – illiberali – erano invece tutti patrimoniali, o sostanzialmente patrimoniali). La legge n. 2136 dell’anno in questione, istitutiva dell’imposta anzidetta, era applicata sulla base delle dichiarazioni degli stessi contribuenti (e così potrebbe benissimo farsi anche oggi: si risparmierebbero spese e burocrati a non finire, ma la legge dovrebbe naturalmente comminare sanzioni anche penali gravissime ed i giudici dovrebbero poi effettivamente applicarle, esattamente come 150 anni fa si faceva). Con la legge in questione, dall’imposta venivano esentati soltanto i fabbricati destinati al culto, i cimiteri e le loro dipendenze, i beni demaniali dello stato e le costruzioni rurali destinate esclusivamente all’abitazione dei coltivatori, al ricovero del bestiame o alla conservazione e prima manipolazione dei prodotti agrari. Il reddito netto dei fabbricati soggetti all’imposta si otteneva deducendo dalla rendita lorda (ridotta a un terzo per gli opifici e di un quarto per ogni altro fabbricato) le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, mentre nessuna detrazione si accordava per decime, canoni, livelli e fitti d’acqua. Così dovrebbe essere anche oggi, quando la tassazione immobiliare è invece per più del 50 per cento patrimoniale, per il 30% sui trasferimenti e solo marginalmente reddituale. L’equivoco (e l’effetto patrimoniale delle nostre tasse) è nato più di 25 anni fa e dura da allora. Le vigenti rendite catastali (sulla cui base – anziché sulle dichiarazioni di cui s’è detto – si calcola oggi l’imposizione) dovrebbero infatti rappresentare i cosiddetti “redditi correnti”, cioè i canoni effettivamente percepibili, depurati dalle spese e dalle tasse (per i catastisti, il 30 per cento dei canoni stessi). Invece, non li rappresentano per niente: la revisione del 1990 ha censito solo i valori di mercato, trasformandoli poi in una sorta di (finte) rendite con l’applicazione di tre coefficienti elementari (1, 2 e 3, rispettivamente per case, uffici e negozi). Oggi, così, molti credono di pagare le imposte sui redditi (che dovrebbero essere rappresentati dalle rendite), ma in realtà – soprattutto per le case – le pagano sul valore catastale degli immobili, come fondamentalmente è.
*presidente Centro studi Confedilizia
inserito in data 8.4.2019
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