In classe energetica F o G soprattutto le case più vecchie e piccole delle aree montane e di quelle interne del Sud
Solo il 26,1% delle nostre case oggi è in regola con la Direttiva “Case green” approvata dalla Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia del Parlamento Europeo. È la famosa direttiva che prevede che gli immobili residenziali sul territorio della UE rientrino nella classe energetica D entro il 2033: meno di 10 anni. Peccato che oggi soddisfano questo requisito solo il 42,2% delle case. La grande maggioranza, il 57,9%, è infatti in classe energetica F (il 24%) o G (il 33,9%).
A essere più indietro della media, e quindi a dover affrontare in futuro le spese elevate, sono proprio gli italiani che vivono nelle aree più fredde del Paese, quelle che per il Governo sono nella Zona Climatica F. Si tratta dei Comuni in cui la somma delle differenze tra i gradi interni a un edificio e quelli esterni è maggiore a 3mila in un anno. Comprende capoluoghi come Cuneo e Belluno, quasi tutti i Comuni alpini e alcuni dell’Appennino. In queste zone, dove non è possibile risparmiare sul riscaldamento e non a caso non vi sono limitazioni alla sua accensione tutto l’anno, ben il 44% degli immobili residenziali si trova in classe energetica G e il 19,5% in quella F.
7.3.2023
Chi abita nelle aree più povere ha case nelle classi energetiche peggiori
Se si escludono poche località rinomate dal punto di vista turistico, tra l’altro, si tratta di aree con un reddito medio non elevato, certamente inferiore rispetto a quello che si ritrova nelle province di pianura. Per gli italiani che vivono in queste zone, la spesa per rendere “green” le loro case è elevatissima. Ancora più alti saranno i costi per coloro vivono nella Zona Climatica D, che potremmo definire intermedia a livello di freddo invernale. Qui, infatti, a essere fuori regola già secondo i requisiti del 2030 (quando dovremo rientrare nella classe energetica E) sono ben due case su tre, il 66%.
Sono incluse qui sia la costa marchigiana e abruzzese che quella ligure assieme a metà Toscana, con i principali centri, ma anche le zone interne del Mezzogiorno. Tra queste vi sono il foggiano, il materano, le Murge, il Cilento, la Sicilia centrale più lontana dal mare, gran parte del sassarese e del nuorese.
Queste ultime aree, abitate da una popolazione in calo e molto più anziana della media, sono tra le più depresse economicamente, con entrate che nella grandissima parte dei casi non consentono, così come non hanno consentito in passato, grandi opere di ristrutturazione edilizia.
7.3.2023
Più l’immobile è piccolo e vecchio e meno di frequente è di classe A o B
Gli stessi dati Enea sull’appartenenza delle nostre case alle diverse classi energetiche, ci informano del fatto che sono proprio quelle più piccole a presentare i dati peggiori. Il 63,4% dei monolocali e bilocali, di 50 mq o meno, è in classe F o G, contro il 58,7% di quelle tra 50 e 100 mq. Più le abitazioni sono ampie più presentano livelli di consumi migliori.
Il 15,3% delle case tra i 100 e i 200 mq è in classe A o B, mentre la percentuale di quelle che rientrano nelle due meno efficienti scende al 53,4%. Scivola poi sotto il 50% nel caso degli immobili più grandi, sopra i 200 mq, spesso ville e attici. Ancora più evidente e ovvio appare il legame tra classe energetica e anzianità degli edifici. Basta risalire indietro di soli 30 anni e poco più per trovare quelli con performance energetiche meno soddisfacenti.
Se nelle abitazioni costruite dopo il 1992 ad essere in classe F o G è meno del 40%, con un minimo del 7,4% per quelle realizzate dopo il 2015, è sufficiente che l’anno di edificazione sia tra il 1973 e il 1991 per salire al 63,5%. Se si va ancora più indietro la quota di case con i consumi più elevati supera il 70%.
È dunque chiaro l’identikit di coloro che saranno costretti a sostenere le spese maggiori per adeguarsi alle nuove regole europee: famiglie che abitano nelle aree più interne del Paese, più di frequente in provincia, in case piccole e costruite diversi decenni fa. In sostanza si tratta prevalentemente di anziani a basso reddito, il cui principale patrimonio è spesso proprio la casa in cui abitano. Il rischio, appare evidente, è l’ulteriore impoverimento di queste fasce marginali della popolazione.
7.3.2023