L’Ue ha ridotto le emissioni di CO2 più di tutti, non ha bisogno di essere la prima della classe anche in futuro
L’Unione europea nel suo complesso sta dimostrando di essere il classico caso di potenza in declino che, anche quando cresce, lo fa meno dei principali competitor. Ciò è evidente dai dati sul Pil e sui redditi, sul commercio estero, sulla ricerca e sulla produzione industriale. C’è un solo ambito in cui è “all’avanguardia”, quello della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, in primis la CO2, che hanno cominciato a scendere dal lontano 1979 e hanno continuato a farlo anche nei decenni successivi, mentre nel resto del mondo proseguiva la crescita.
Certo, questo successo ha molto a che fare con il declino stesso, la deindustrializzazione, che le economie europee hanno subìto, ha contribuito a questo risultato. Il punto è che alla Ue non basta: invece di approfittare di questo vantaggio e lasciare che siano i propri concorrenti a imporsi regole e a limitare lo sviluppo economico per raggiungere gli obiettivi ambientali già conseguiti dagli europei, insiste. Per i prossimi anni si è proposta di ridurre le emissioni a un livello molto inferiore di quello degli Usa, della Cina, dell’India e di altre potenze globali, ma l’unico modo per riuscirci è intaccare l’economia e i redditi dei cittadini.
Nel 2030 ogni europeo dovrebbe emettere la metà dell’anidride carbonica generata da ogni singolo statunitense
Guardiamo i numeri, la Commissione europea si propone di ridurre per il 2030 le emissioni annuali di CO2 al 55% del livello del 1990, mentre per il 2040 dovrebbero scendere al 90% di quella stessa soglia, fino a raggiungere la neutralità climatica, quindi nessuna emissione, per il 2050. Significa che tra circa 6 anni l’Ue dovrà generare 2,13 miliardi di tonnellate equivalenti, ovvero 5,06 tonnellate pro capite a popolazione invariata (dati Global Carbon Budget, emissioni agricole escluse).
Gli Stati Uniti si propongono una riduzione del 50-52% entro il 2030, ma, attenzione, si tratta del 50-52% rispetto al livello del 2005, che era molto più alto di quello europeo del 1990. In quell’anno le emissioni americane erano quasi al loro picco e questo calo, se fosse realizzato, le porterebbe a 3,13 miliardi di tonnellate equivalenti, cioè a ben 10,56 tonnellate pro capite. In sostanza l’obiettivo Usa è che ogni statunitense produca il doppio dell’anidride carbonica prodotta dagli europei, sempre a popolazione invariata.
La Cina si propone semplicemente di toccare il proprio picco, quello raggiunto dall’Ue nel 1979 e dagli Usa nel 2005, prima del 2030. Nel 2022 nel complesso le loro emissioni sono arrivate a 11,34 miliardi di tonnellate equivalenti, che corrispondono a 8 tonnellate pro capite, ovvero molto più di quanto produce l’europeo medio. In sostanza non solo già ora ogni cinese contribuisce al riscaldamento globale più di un europeo, ma Pechino non ritiene sia opportuno progettare una netta inversione a U.
I cinesi guardano solo all’intensità carbonica
In modo abbastanza furbo, ma che potremmo anche definire intelligente, il governo cinese ha infatti annunciato di puntare piuttosto a una riduzione dell’intensità carbonica, cioè della quantità di CO2 che si produce per punto di Pil, invece che a quella della CO2 in quanto tale. Non a caso l’obiettivo dichiarato più recente è stato quello di diminuire tale indicatore del 18% tra il 2020 e il 2025.
Significa che se il Pil cresce molto (come è nelle intenzioni del governo cinese) le emissioni di CO2 possono anche scendere poco, o persino continuare a salire, perché l’importante è il rapporto tra le due grandezze. Essenziale, per i cinesi, è piuttosto dimostrare che la loro economia è efficiente, che ogni nuovo prodotto o servizio inquina meno di quelli precedenti.
In realtà le analisi degli attivisti contro il riscaldamento globale evidenziano come questi obiettivi non saranno raggiunti: la Cina, considerando il tasso di crescita, dovrebbe ridurre del 4-6% le emissioni totali in due anni per conseguirli, cosa molto difficile.
Obiettivi irrealistici portano a politiche irrazionali
Del resto anche i target statunitensi appaiono irrealistici, secondo l’istituto di ricerca indipendente Rhodium Group nel 2030 le emissioni americane saranno scese del 40%, non del 50-52% come auspicato. E anche l’Ue mancherà l’obiettivo, la stessa Commissione europea ha ammesso che la riduzione entro fine decennio sarà del 51%, non del 55%.
È la dimostrazione di come fossero sin dall’inizio irrealistici i target decisi dai vari esecutivi, ma soprattutto dall’Unione europea, che è quella che ha introdotto gli obiettivi più ambiziosi. È stata una mossa miope sia perché si trattava dell’area del mondo che aveva già fatto di più per la riduzione delle emissioni, sia perché è quella in cui la crescita dei redditi è inferiore.
Ed è proprio perché vuole cercare di raggiungere target più radicali che solo nell’Ue le politiche ambientali sono state rese ancora più rigide e punitive, per esempio sono stati varati provvedimenti come la direttiva “Case Green” o il divieto di vendita di veicoli alimentati a benzina dal 2035. Ma oltre ad avere performance economiche differenti (peggiori), in Europa abbiamo anche modelli abitativi e una demografia diversa. Non tenere conto di questi elementi, così come degli ottimi risultati già raggiunti in tema di decarbonizzazione, è un chiaro sintomo della malattia che affligge una parte importante dell’élite politica europea, quella dell’ideologia.
25.9.2024