Le rendite catastali sono cresciute più del valore delle case
Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Agenzia delle entrate, di fine 2022, le rendite catastali totali in Italia ammontano complessivamente a 17 miliardi e 423 milioni di euro. Si tratta di 998 milioni in più di 10 anni prima, il 2012, e in termini percentuali siamo davanti a un aumento del 6,1%. Solo in parte tale crescita è stata causata dall’aumento dello stock di immobili, che è stato modesto, anche per ben note cause demografiche. C’è stato, invece, un incremento effettivo della rendita catastale media della singola proprietà, che è passata nello stesso periodo da 477 a 491 euro, con un aumento del 2,9%. Se poi guardiamo alle sole abitazioni di categoria A (escludendo gli uffici, A/10) possedute da una persona fisica, quindi la situazione del proprietario italiano medio, l’incremento è stato ancora maggiore, perché si è passati da una rendita di 475 a una di 491 euro, +3,2%.
Certo, negli stessi 10 anni, l’inflazione è stata più alta, del 18,9%, e quindi in termini reali questo aumento del 3,2% si traduce in una riduzione, ma è proprio questo il punto: non possiamo dimenticare che tra il 2012 e il 2022 i valori medi di mercato, cioè i prezzi delle case, sono scesi, sempre in termini reali, di ben il 16,6%. Questo significa che le rendite catastali, così spesso sotto accusa di essere lontane dai valori effettivi degli immobili, in realtà si sono apprezzate rispetto a questi, e non di poco. Vuol dire, per dirla in parole povere, che i proprietari pagano più tasse, più Imu, di prima in proporzione al valore reale dell’abitazione che possiedono.
Le variazioni delle rendite delle diverse categorie
È importante sottolineare altresì che in questo stesso lasso di tempo la rendita catastale media degli immobili delle altre categorie è scesa o cresciuta meno. Per esempio quella degli uffici, A/10, è aumentata solo dello 0,7% in dieci anni, mentre nel caso dei negozi e dei laboratori artigianali, categoria C, c’è stata una riduzione del 5,3%. La rendita dei fabbricati usati dalle aziende o anche da alberghi e banche, che rientrano nella categoria D, ha visto una diminuzione media addirittura dell’11,8%, essendo passata da 7.366 a 6.496 euro.
Insomma, a essersi rivalutate significativamente e quindi a dover pagare più tasse, sono state solamente le abitazioni private. Quali in particolare? Se guardiamo ancora alle proprietà delle persone fisiche siamo davanti a un incremento molto importante delle rendite della categoria A/1, quella delle abitazioni signorili, che sono passate da 2.733 a 2.902 euro, +6,2%. Su, del 3,2%, anche le rendite di quelle che sono accatastate come ville, A/8 e come palazzi o castelli, A/9, +1%. Si tratta, ricordiamolo, di immobili su cui pagare l’Imu anche quando sono adibite ad abitazione principale e non è probabilmente un caso se nel tempo sono diminuite a livello numerico, visto il trattamento fiscale. In alcuni casi, per esempio, sono frazionati in appartamenti, ma in molti altri continuano a essere, erroneamente, considerati di pregio, e da tartassare.
L’effetto distorsivo della tassazione
Così come non è un caso che siano cresciute moltissimo le unità collabenti, ovvero i ruderi fatiscenti, che non hanno alcuna rendita: sono passate dalle 334.267 del 2012 alle 542.575 del 2022, sempre considerando quelle proprietà di persone fisiche. È un incremento enorme, del 62,3%, motivato, come ha più volte sottolineato Confedilizia, anche da azioni dei proprietari che, per esempio, rimuovono il tetto da immobili ormai inutilizzati e inutilizzabili su cui sarebbe iniquo continuare a pagare l’Imu.
Al di là di questi casi estremi è ormai comune trovare, soprattutto nei centri medio-piccoli, dove vive la maggioranza della popolazione, appartamenti, magari di classe A/2, che hanno una rendita catastale cresciuta nel tempo al di sopra del valore di mercato, che nel frattempo è sceso. È l’ennesima distorsione del nostro sistema fiscale.
16.4.2024