Le tende piantate dinanzi al Politecnico di Milano hanno avuto un merito: hanno richiamato l’attenzione generale sull’università. Ovviamente le richieste avanzate dai nuovi miti della sinistra “stile Schlein” sono assurde (come molti hanno evidenziato), ma è opportuno ricordare che l’intero sistema universitario è ormai al collasso e ha bisogno di essere ripensato.
Per giunta, quanti si lamentano per l’alto costo delle stanze nelle principali città italiane hanno spinto più di un commentatore a tirare fuori le cifre. E i dati dicono che i giovani dei ceti medio-alti che continuano a studiare anche dopo la maturità pagano solo in minima parte i costi reali (perché chi paga è il contribuente); che il numero dei laureati è in costante calo; che la qualità degli studi – secondo le classifiche internazionali – è declinante.
Negli ultimi decenni il sistema accademico italiano è stato progressivamente burocratizzato, mentre il mondo culturale veniva irretito da logiche post-marxiste che hanno generato il progressismo del politicamente corretto. Di conseguenza, nei nostri atenei solitamente viene premiato non chi cerca di studiare e insegnare con originalità, ma chi si mette al servizio delle istituzioni statali e degli interessi del sistema politico vigente, svolgendo attività essenzialmente organizzative che nei fatti assecondano i diktat del conformismo culturale: in tema di genere, ambiente, solidarietà, riscaldamento globale, ecc.
L’università di tutto ha bisogno meno di fondi assistenziali destinati a creare dormitori per i giovani, perché di tutto ha bisogno meno che di continuare a far credere che ogni desiderio debba essere soddisfatto. Al contrario, c’è la necessità che docenti e discenti vengano portati a fare i conti con le logiche di mercato che si reggono su alcuni princìpi fondamentali (la scarsità esiste, l’impegno produce risultati, la proprietà altrui va rispettata, ecc.) i quali ci spingono a metterci al servizio delle esigenze del prossimo. Quando ero bambino, ogni volta che osavo dire “voglio…” i miei genitori mi dicevano che l’erba-voglio non esiste nemmeno nei giardini del re. Credo che nessuno l’abbia mai spiegato ai ventenni del nostro tempo.
E così oggi qualche studente a Milano pretende una camera a 200 euro, invece che a 500 euro. Seguendo la stessa logica domani esigerà che i contribuenti gli finanzino un corso da 50 mila dollari all’anno in una delle migliori università del mondo. Perché no? D’altra parte, tutti vorremmo avere di più e pagare di meno, ma se un percorso di formazione universitaria non è nemmeno in grado di fare uscire i ragazzi da questo infantilismo morale ed economico dobbiamo essere davvero più che allarmati.
Nel contestare i “tendisti” e i loro piagnistei molti commentatori hanno ricordato come negli anni passati – e ancora oggi, ovviamente – quelli dell’università fossero anni segnati dal pendolarismo: spostandosi, ad esempio, da Bergamo a Milano tutti i giorni. Lo studente che viene da un’altra regione per frequentare il Politecnico, allora, può benissimo trovare a poco prezzo una stanza in affitto a Treviglio o anche a Corsico: portandosi in università con i mezzi pubblici ed evitando i costi molto alti del capoluogo milanese. Tutto questo, però, può essere compreso soltanto se abbandona lo Stato-mamma e si accettano i princìpi della libertà e del pluralismo del mercato.
In questo senso, è significativo come quanti ora cavalcano il nuovo movimentismo delle tendopoli universitarie siano anche acerrimi nemici di ogni iniziativa privata in ambito accademico. La loro idea è che le università devono essere tutte gestite dai politici e dai burocrati (esattamente come le poste e le ferrovie) e che ogni ipotesi di università privata sia da avversare.
Questo spiega perché, specie tra i progressisti, ci sia tanto astio verso le università telematiche, che sono per lo più imprese di mercato orientate a soddisfare le esigenze di quanti vivono lontano dalle città universitarie oppure lavorano e studiano al tempo stesso. Questi atenei hanno avuto successo andando incontro alle esigenze dei giovani più poveri (non certo di chi può permettersi di trasferirsi a Milano!): di coloro che non possono pagare nemmeno 200 euro al mese per una camera lontano da casa e che soprattutto non sono in condizione di rinunciare alle entrate del loro lavoro.
Anche in questo caso, lo Stato crea disastri e la libera iniziativa dei soggetti attivi sul mercato cerca di porre rimedio. Ma proprio per questo i pretoriani del potere istituito stanno facendo tutto il possibile per contrastare lo sviluppo di libere realtà imprenditoriali nell’ambito dell’università e della formazione superiore.
Carlo Lottieri, Free Academy
(da www.nicolaporro.it)
da Confedilizia notizie, giugno ’23
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