Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Giorgio Spaziani Testa.
Carlo Lottieri rileva (il Giornale, 3 agosto) che “avvicinare gli oneri delle imposte e i benefici dei servizi è fondamentale se si vuole diminuire la tassazione su imprese e famiglie, migliorare il funzionamento degli apparati pubblici, ridurre le uscite”.
Si tratta di un concetto fondamentale, che è però del tutto estraneo alla fiscalità locale italiana. Nel nostro Paese, infatti, dove le risorse dei Comuni sono assicurate in massima parte dalla tassazione sugli immobili, né l’Imu né la Tasi raggiungono questo obiettivo, essendo – di fatto – imposte puramente patrimoniali: basate, cioè, sul “valore catastale” di case, negozi, uffici, senza alcun riferimento alle utilità che i proprietari e i fruitori di tali beni eventualmente ricevano dai servizi svolti dalle amministrazioni locali.
La stessa Tasi – che produce comunque un gettito minimo rispetto all’Imu – ha solo una parvenza di rapporto con i servizi. La legge, infatti, prevede sì che nei regolamenti comunali sia contenuta “l’individuazione dei servizi indivisibili e l’indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la Tasi è diretta”. Ma il calcolo del tributo è identico a quello previsto per l’Imu e le indicazioni che i Comuni inseriscono nei regolamenti (quando lo fanno) sono mere espressioni verbali, prive di effetti sostanziali.
Un’imposizione locale moderna dovrebbe invece fondarsi sul collegamento con il territorio e quindi con i servizi forniti dall’ente locale al cittadino-contribuente. Dovrebbe esservi, come diceva la legge delega sul federalismo fiscale del 2009, una “correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa”. E una vera tassa sui servizi dovrebbe avere due caratteristiche essenziali: 1) realizzare un effettivo, e controllabile, collegamento fra tributo versato dal contribuente e quantità e qualità dei servizi ricevuti dallo stesso contribuente; 2) essere a carico del fruitore di tali servizi e quindi – nel caso dell’imposizione fondata sugli immobili – non già del proprietario del bene in quanto tale, bensì dell’utente dello stesso, e cioè di chi lo occupa (in caso di locazione, dunque, dell’inquilino), come avviene, ad esempio, con la Council tax britannica.
Solo in questo modo può aversi, soprattutto sul fronte della spesa, quella responsabilizzazione degli enti locali che è connaturata a qualsiasi forma di reale federalismo. Una responsabilizzazione, si badi, che avrebbe effetti anche sull’azione dei Governi nazionali. I quali – per restare al settore immobiliare – non avrebbero più la possibilità di realizzare con disinvoltura operazioni come quella attuata con la manovra Monti del 2011, quando è bastato aumentare da 100 a 160 un semplice moltiplicatore per determinare la triplicazione della tassazione sugli immobili e, per effetto di essa, la distruzione di un settore e dei mille altri ad esso collegati.
Giorgio Spaziani Testa è Presidente di Confedilizia.