In tema di condominio negli edifici, il divieto, sancito dall’art. 1122 c.c., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio, comporta una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile ad un’obbligazione “propter rem”, cui corrisponde, dal lato attivo, una situazione giuridica soggettiva che non ha natura di diritto reale di godimento su cosa altrui; ne consegue che non occorre che la domanda diretta ad ottenere la relativa tutela venga trascritta, agli effetti indicati dall’art. 2653 c.c.. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la necessità della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione in pristino di un’unità abitativa realizzata in uno spazio di proprietà comune, ai fini dell’opponibilità della pronunziata sentenza all’avente causa dell’originario convenuto).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3123, T. c. D.A. ed altri.
In tema di condominio negli edifici, l’art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, quelle opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, di rigetto della domanda di riduzione in pristino di un balcone di proprietà esclusiva, trasformato da un condomino in veranda, non essendo emersa dall’istruttoria la prova di una apprezzabile limitazione all’ingresso di luce ed aria nel vano scala sul quale affacciava il balcone per effetto della sua trasformazione in veranda).
* Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2007, n. 12491, Cond. Via (omissis) Milano c. P. ed altro.
In tema di condominio, devono considerarsi vietate, ai sensi dell’art. 1122 c.c., le opere realizzate dal condomino nella proprietà esclusiva che comportino una lesione del decoro architettonico dell’edificio, non trovando al riguardo applicazione la norma dettata dall’art. 1120 c.c. in tema d’innovazione delle parti comuni. (Nella specie, sono state ritenute illegittime le tettoie, che – pur essendo state realizzate nella proprietà esclusiva del condomino – comportavano un danno estetico alla facciata dell’edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2005, n. 2743, I. c. B.
In tema di condominio l’art. 1122 c.c. – nel fare divieto al condomino di eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere che rechino danno alle cose comuni – intende riferirsi non solo a quello materiale, incidente fisicamente sulla cosa comune ma anche a quello funzionale, incidente cioè sulle utilità che dai beni comuni possono conseguirsi. (Nella specie, è stato ritenuto che arrecava danno alle cose comuni la realizzazione da parte di un condomino di una struttura delimitante il posto auto di proprietà esclusiva, che rendeva impossibile l’accesso comune antistante ai singoli posti auto limitando altresì l’utilizzo della caldaia).
* Cass. civ., sez. II, 10 settembre 2004, n. 18214, P. c. Cond. (omissis).
In mancanza di norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune; in tal caso il giudice può inibire la nuova destinazione, ordinando la rimozione delle opere pregiudizievoli, qualora sia stata ritualmente proposta la domanda in tal senso. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio succitato, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva statuito il divieto del mutamento di destinazione di porzione di proprietà esclusiva di un condomino da autorimessa ad abitazione, costituendo detta modifica un peggioramento dell’estetica della facciata e creazione di una situazione di «basso», risolventesi anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell’edificio, posto in zona residenziale).
* Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5612.
Poiché a norma dell’art. 1122 c.c. il limite alla facoltà di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o porzione di piano di sua proprietà) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unità, costituisce danno per le cose comuni anche il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessità delle operazioni necessarie per l’uso dello stesso comportino la possibilità di recare danno all’impianto di riscaldamento centrale.
* Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1995, n. 870, B.E. c. C. di Via (omissis) di Catanzaro.
In tema di condominio negli edifici, l’esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricava dall’art. 1122 c.c., il quale stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell’edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa. Infatti, il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell’edificio, che, secondo il giudice di merito, aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell’aspetto architettonico del fabbricato).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947, M. c. C. e altri.
La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 c.c.) del solaio divisorio di due piani di edificio condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell’appartamento del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri per struttura e funzione (separazione in senso orizzontale, sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, è attratta nel regime giuridico dello stesso. Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l’altro proprietario, oltre che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell’acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilità, cui non ostino ragioni di statica ed estetica, sicché quest’ultimo può ancorare a detta soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altresì utilizzare la faccia inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi di illuminazione, per farvi vegetare piante rampicanti, ecc.
* Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1987, n. 283.
Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell’art. 1122 c.c., rechino danno alle parti comuni dell’edificio stesso, né, a maggior ragione, opere che, attraverso l’utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si è ritenuto che al proprietario di un appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell’edificio condominiale la quale raggiunga l’altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell’aria e della luce al proprietario del piano contiguo).
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1132.
In mancanza di norme limitatrici della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti da regolamento approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 c.c. vieta soltanto di compiere, nel piano o nelle porzioni di piano di proprietà esclusiva, opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio e non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.
* Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 1985, n. 256.
In tema di condominio negli edifici, al fine dell’indagine sulla legittimità o meno di opere che, partendo dalla cosa di pertinenza esclusiva del singolo proprietario o compossessore, incidano su spazio o superficie oggetto di comunione (nella specie, cortile), occorre distinguere il caso in cui quelle opere, per loro conformazione e struttura, determinino un’occupazione ed incorporazione stabile, nel bene individuale, di porzione dello spazio e superficie comune, dal caso in cui le medesime si limitino a sporgere e sovrastare su detto spazio o superficie. Nella prima ipotesi, l’illegittimità è insita nel fatto, comportando questo un’oggettiva sottrazione di porzione del bene comune all’uso degli altri compartecipanti. Nella seconda ipotesi, l’illegittimità ricorre ove risulti che il manufatto del singolo, in relazione alla dimensione, entità di sporgenza ed altezza della superficie sottostante, comporti, in concreto, impedimento od ostacolo al normale godimento del bene comune da parte degli altri compartecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 1976, n. 4658.
RASSEGNA TEMATICA DI GIURISPRUDENZA LOCATIZIA E CONDOMINIALE
Con la collaborazione della redazione dell’Archivio delle locazioni del condominio e dell’immobiliare e della Casa editrice La Tribuna.
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