Gli stessi dati Enea sull’appartenenza delle nostre case alle diverse classi energetiche, ci informano del fatto che sono proprio quelle più piccole a presentare i dati peggiori. Il 63,4% dei monolocali e bilocali, di 50 mq o meno, è in classe F o G, contro il 58,7% di quelle tra 50 e 100 mq. Più le abitazioni sono ampie più presentano livelli di consumi migliori.
Il 15,3% delle case tra i 100 e i 200 mq è in classe A o B, mentre la percentuale di quelle che rientrano nelle due meno efficienti scende al 53,4%. Scivola poi sotto il 50% nel caso degli immobili più grandi, sopra i 200 mq, spesso ville e attici. Ancora più evidente e ovvio appare il legame tra classe energetica e anzianità degli edifici. Basta risalire indietro di soli 30 anni e poco più per trovare quelli con performance energetiche meno soddisfacenti.
Se nelle abitazioni costruite dopo il 1992 ad essere in classe F o G è meno del 40%, con un minimo del 7,4% per quelle realizzate dopo il 2015, è sufficiente che l’anno di edificazione sia tra il 1973 e il 1991 per salire al 63,5%. Se si va ancora più indietro la quota di case con i consumi più elevati supera il 70%.
È dunque chiaro l’identikit di coloro che saranno costretti a sostenere le spese maggiori per adeguarsi alle nuove regole europee: famiglie che abitano nelle aree più interne del Paese, più di frequente in provincia, in case piccole e costruite diversi decenni fa. In sostanza si tratta prevalentemente di anziani a basso reddito, il cui principale patrimonio è spesso proprio la casa in cui abitano. Il rischio, appare evidente, è l’ulteriore impoverimento di queste fasce marginali della popolazione.
7.3.2023