“Per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (…), e poi che sussista un titolo contrario alla «presunzione» di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto. L’art. 1117 cod. civ., infatti, nel contemplare un elenco, non tassativo, di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione dei medesimi al servizio comune (…), opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi (…), in quanto detta una presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini che non può essere vinta con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle (…) opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali”. Così, in linea con la giurisprudenza pregressa, una recente ordinanza della Cassazione (la n. 30025 del 21.11.2024) nella quale i Supremi giudici hanno anche chiarito che, in presenza della mentovata presunzione legale, il condominio è “dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condomino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni”.
da Confedilizia notizie, gennaio ’25
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