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Sentenza 119/1999
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente GRANATA Relatore GUIZZI
Camera di Consiglio del 13/01/1999 Decisione del 24/03/1999
Deposito del 02/04/1999 Pubblicazione in G. U. 14/04/1999
Ordinanze di rimessione 159/1998 160/1998 161/1998 162/1998 163/1998 164/1998 165/1998 166/1998 167/1998 168/1998 169/1998 170/1998 171/1998 172/1998 173/1998 174/1998 175/1998 176/1998 177/1998 178/1998 292/1998 382/1998 383/1998 384/1998 385/1998
Massime: 24592 24593 24594
N. 119
SENTENZA 24 MARZO-2 APRILE 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a) nn. 1), 2), 3), 7) della legge 23 ottobre 1992 n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e degli artt. 1, 7, comma 1, lettera i) 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421); giudizi promossi con ordinanze emesse il 5 e il 26 giugno, il 29 maggio (quattro ordinanze), il 5 giugno, il 29 maggio, il 3 luglio (tre ordinanze), il 26 giugno (due ordinanze), il 12 giugno, il 26 giugno, il 5 giugno (due ordinanze), il 26 giugno (due ordinanze) e il 5 giugno 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, il 18 febbraio 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, il 26 giugno, il 29 maggio (due ordinanze) e il 3 luglio 1997 dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, iscritte rispettivamente ai nn. 159, 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 292, 382, 383, 384 e 385 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, nn. 12, 18 e 23, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio avente a oggetto l’istanza, formulata dall’Istituto autonomo per le case popolari (d’ora innanzi IACP) della provincia di Milano e volta a ottenere la restituzione delle somme pagate a titolo di imposta comunale sugli immobili per l’anno 1993, la Commissione tributaria provinciale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e degli artt. 1 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nella parte in cui non prevedono l’esenzione degli immobili posseduti dagli IACP dal pagamento dell’imposta comunale sugli immobili.
Ad avviso del rimettente, le norme censurate sarebbero innanzitutto in contrasto con l’art. 53, in quanto i predetti immobili possono essere concessi in locazione dietro pagamento di un canone predeterminato per legge, inferiore al valore di mercato, e non possono essere alienati. Il patrimonio immobiliare degli IACP non sarebbe, dunque, indice di alcuna capacità contributiva, e non puo’ essere equiparato, dal punto di vista fiscale, agli immobili liberamente commerciabili.
Le norme in esame sarebbero altresì in contrasto, sotto diversi profili, con l’art. 3.
In primo luogo, perché lesive del principio di uguaglianza, dal momento che l’introduzione dell’ICI, secondo quanto il rimettente ritiene di desumere dagli atti parlamentari, era giustificata dal maggior reddito ricavabile dalla locazione di immobili, in conseguenza della concomitante abrogazione (parziale) del cosiddetto “equo canone”. Tuttavia, nei confronti degli IACP l’art. 66, comma 9, del decreto legislativo 30 agosto 1993, n. 331, consente di aumentare il canone soltanto a partire dall’anno 1994; e per l’anno d’imposta 1993 è stata discriminata la posizione di tali istituti, essendo per essi aumentato il carico tributario, senza che vi fosse incremento del loro reddito.
In secondo luogo, le norme censurate lederebbero il principio di ragionevolezza sotto tre profili: perché accomunano gli IACP a tutti gli altri contribuenti, non tenendo conto della loro peculiare natura e delle finalità perseguite;
perché li discriminerebbero rispetto a numerosi altri soggetti, per i quali è stata disposta, invece, l’esenzione totale dal pagamento dell’ICI;
perché, mentre ai fini dell’assolvimento dell’INVIM, la legge ha previsto l’imponibilità delle plusvalenze realizzate e non di quelle maturate, con conseguente esenzione di fatto dal pagamento dell’INVIM decennale o straordinaria, al contrario non è stata prevista analoga esenzione per l’ICI.
Infine, il giudice a quo prospetta un vulnus dell’art. 2, in quanto fine istituzionale degli IACP è garantire il “bene casa” ai meno abbienti, finalità che sarebbe in concreto limitata, e ostacolata, dal pagamento dell’ICI sugli immobili dell’ente.
2. – Con ventiquattro ordinanze di analogo contenuto, adottate nel corso di vari giudizi riguardanti la restituzione di somme versate dal locale Istituto per l’edilizia residenziale pubblica (d’ora innanzi, IERP) a titolo di ICI, la Commissione tributaria di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 1, lettera i), e 8, comma 4, del citato decreto legislativo n. 504 del 1992, nella parte in cui non prevedono che gli immobili degli IERP siano esonerati dal pagamento dell’ICI.
Il Collegio rimettente non esamina partitamente i pretesi profili di contrasto con i due parametri costituzionali invocati, ma propone per entrambi un sillogismo, sostenendo che la legge istitutiva dell’ICI esonererebbe dal pagamento una serie di soggetti – proprietari di immobili destinati esclusivamente ad attività assistenziali – e che gli IERP non eserciterebbero alcuna attività qualificabile nella sostanza come “commerciale”, dal momento che ne svolgono una finalizzata alla prestazione di un pubblico servizio, qual è fornire il “bene casa” ai meno abbienti. Per cui sarebbe irragionevole discriminare – sotto l’aspetto fiscale – la posizione di enti i cui immobili sono destinati alla protezione sociale.
3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, eccependo – con riguardo alle censure mosse dalla Commissione tributaria di Milano – che questa Corte ha dichiarato non fondate, con la sentenza n. 113 del 1996, analoga questione.
Sulla questione sollevata dalla Commissione tributaria di Perugia, la difesa erariale ha sottolineato che gli IACP (e gli IERP) già godono di una riduzione d’imposta del cinquanta per cento, ai sensi dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 3, comma 55, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. E ha aggiunto che l’attività degli IACP e degli IERP non puo’ definirsi “assistenziale”, si’ che – per quanto attiene al trattamento fiscale – sarebbe pienamente giustificata la discriminazione prevista dalla legge, ai fini dell’ICI, tra i predetti Istituti e gli enti assistenziali.
Considerato in diritto
1. – Va esaminata preliminarmente la questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano che, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, sospetta di illegittimità costituzionale l’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7) della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e gli artt. 1 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504.
Secondo il rimettente, gli immobili posseduti dagli IACP non costituirebbero indice di capacità contributiva in quanto non commerciabili, mentre gli utili derivanti dalla loro gestione – detratte le spese – debbono essere versati allo Stato.
Riproposta solo parzialmente sotto un diverso profilo, la censura è manifestamente infondata. Analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata sull’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, è stata infatti già dichiarata non fondata, in relazione al medesimo parametro, non risultando l’assoggettamento degli IACP al pagamento dell’ICI in contrasto con il disposto di tale norma, anche perché rivalutare le scelte di merito compiute dal legislatore per quanto attiene al regime delle esenzioni comporterebbe “una evidente intromissione nell’ambito della discrezionalità politica riservata alle Camere”, che è insindacabile ove non se ne deduca la manifesta irragionevolezza (sentenza n. 113 del 1996). Irragionevolezza che, nel caso di specie, non si può far consistere nella pretesa insussistenza in capo agli IACP di capacità contributiva, avendo questa Corte, in tema di imposte patrimoniali, già ritenuto non manifestamente irrazionale presumere che i fabbricati ricevano, più di ogni altra fonte di reddito, particolari benefici dai servizi e dalle attività gestionali del comune (sentenze nn. 111 del 1997 e 159 del 1985). Si’ che non è arbitrario ancorare il prelievo fiscale al possesso dell’immobile.
2. – La Commissione tributaria di Milano dubita anche, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7) della legge n. 421 del 1992 e degli artt. 1 e 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, nella parte in cui non prevedono l’esenzione degli immobili posseduti dagli IACP dal pagamento dell’ICI. Un’imposta che, ad avviso del rimettente, limiterebbe in concreto il conseguimento del fine precipuo dell’Istituto, che è di garantire il “bene casa” ai non abbienti, incidendo di fatto sul godimento d’un diritto costituzionalmente protetto.
Analoga censura viene mossa dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, relativamente sia all’art. 7, comma 1, lettera i), sia all’art. 8, comma 4, del citato decreto legislativo n. 504 del 1992.
Le due questioni, che possono essere esaminate congiuntamente, sono l’una infondata, l’altra inammissibile.
È manifestamente inammissibile per carenza di motivazione dell’ordinanza di rimessione la questione prospettata dalla Commissione tributaria di Perugia, non avendo il Collegio in alcun modo argomentato sulla violazione dell’art. 2 della Costituzione.
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7) della legge n. 421 del 1992, e degli artt. 1 e 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 sollevata, con riferimento all’art. 2 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano.
Il diritto a una abitazione dignitosa rientra, innegabilmente, fra i diritti fondamentali della persona (sentenza n. 404 del 1988). Tuttavia, nel caso di specie il giudice a quo mostra, con apodittica motivazione, di ritenere che l’imposizione fiscale (o l’aumento di essa) debba, per il solo fatto di esser tale, riverberarsi negativamente sul godimento del diritto alla casa da parte degli assegnatari di alloggi realizzati dagli IACP. In mancanza di ulteriori motivazioni, o esplicazioni, non si può condividere una simile presunzione di causalità fra imposizione fiscale e nocumento al diritto all’abitazione, postulata più che dimostrata.
3. – La Commissione tributaria di Milano dubita poi, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7), della legge n. 421 del 1992 e degli artt. 1 e 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, poiché il legislatore avrebbe con irragionevolezza discriminato la posizione degli IACP, immotivatamente differenziandola da quella degli altri soggetti esentati dal pagamento dell’ICI e indicati dall’art. 7 (ad esempio, le istituzioni sanitarie pubbliche e le camere di commercio, in relazione agli immobili destinati allo svolgimento delle rispettive attività istituzionali).
Analoga censura viene sollevata dalla commissione tributaria provinciale di Perugia, anche in questo caso con riferimento sia all’art. 7, comma 1, sia all’art. 8, comma 4, del decreto legislativo testé richiamato.
Per identità delle censure mosse, le due questioni vanno esaminate congiuntamente. Esse sono entrambe infondate.
Nel disciplinare la materia delle esenzioni e delle riduzioni d’imposta, il legislatore gode di ampia discrezionalità, il cui esercizio non è sindacabile da questa Corte se non per manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. In particolare, si deve escludere che una previsione di esenzione dal pagamento dell’imposta debba sempre equivalere a un riconoscimento dell’insussistenza di capacità contributiva (sentenza n. 159 del 1985). È, dunque, in facoltà del legislatore esentare dall’imposta anche soggetti forniti di capacità contributiva, purché tale scelta non presenti, come si è detto, profili di irrazionalità: che qui non ricorrono.
L’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 prevede infatti, alle lettere a), e) e, f), l’esenzione di immobili posseduti da Enti pubblici o di proprietà di soggetti di diritto internazionale; e, alle lettere b), c), d), g), h), i), di immobili destinati ad attività peculiari che non siano produttive di lucro e di reddito. Entrambe queste categorie di immobili (e soggetti) presentano rilevanti differenze rispetto a quelli di proprietà degli IACP, che (sia pure a canoni o prezzi predeterminati per legge) sono destinati istituzionalmente alla locazione o, alle condizioni predeterminate dalla legge, alla vendita. Attività, questa, assai diversa rispetto a quelle cui sono verosimilmente destinati gli altri immobili elencati nell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992.
La destinazione degli immobili degli IACP non può, in particolare, essere assimilata a quella degli immobili di cui alle lettere c), g) e h) di tale articolo, dal momento che l’attività dell’Istituto – per costante giurisprudenza della Corte di cassazione – è assimilabile, ai fini per l’assoggettabilità di tali enti all’imposizione ILOR, a quella imprenditoriale, pur a fini di pubblico interesse.
La strutturale diversità fra la destinazione degli immobili di proprietà degli IACP, e quella degli altri immobili previsti dall’art. 7 più volte richiamato, non è elisa dalla circostanza che gli IACP siano obbligati ad affidare l’eventuale utile a una gestione autonoma della Cassa depositi e prestiti. Siffatto obbligo costituisce, invero, una forma di restituzione allo Stato dei fondi ricevuti, e non muta la natura dell’attività degli IACP da imprenditoriale (o a questa assimilabile, ai fini fiscali) in assistenziale. Essendo presupposto del prelievo fiscale il mero possesso dell’immobile, e non la destinazione a fini di lucro (in quanto l’imposizione ICI tende a colpire non solo i proprietari, ma anche “coloro che, avendo il godimento del bene, si avvantaggiano, con immediatezza, dei servizi e delle attività gestionali dei comuni”: sentenza n. 111 del 1997), non si può evocare, con riguardo al profilo in esame, il fine di pubblico interesse perseguito dal soggetto passivo (sentenza n. 301 del 1987).
Si deve pertanto concludere che il legislatore, non inserendo gli IACP nell’elenco di cui all’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, abbia fatto uso non irrazionale della propria discrezionalità.
Né può ritenersi, al contrario di quanto dedotto dalla Commissione tributaria di Milano, che l’articolo 7 sia norma violatrice del principio di uguaglianza, per avere discriminato la posizione degli IACP (ai quali non è dato aumentare il canone di locazione) rispetto a quella degli altri proprietari di immobili, ai quali l’art. 11 del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, ha consentito di derogare, nella fissazione del canone, al regime vincolistico di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392. Il d.-l. n. 333 del 1992 ha infatti previsto un regime di graduale passaggio da un sistema totalmente vincolato ad altro rimesso alla contrattazione delle parti (art. 11, comma 2-bis), e ha perciò creato, non irragionevolmente, una distinzione anche all’interno della categoria dei proprietari privati fra contratti “prorogati” ai sensi del citato art. 11, comma 2-bis e contratti “rinegoziati”.
4. – Infondata è infine, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992. Tale norma, prevedendo una riduzione del cinquanta per cento dell’imposta dovuta dagli IACP, si sottrae alle censure del giudice rimettente; attraverso di essa il legislatore ha infatti conferito uno status privilegiato – per quanto attiene al pagamento dell’ICI – agli IACP. Né ha rilievo la circostanza che la riduzione prevista dall’art. 8, comma 4, trovi applicazione a decorrere del 1 gennaio 1997, perché il legislatore, come si è già rilevato, gode di ampia discrezionalità nel disciplinare le esenzioni d’imposta, non essendo peraltro necessario che queste siano sottese da una effettiva assenza di capacità contributiva (sentenze nn. 111 del 1997 e 159 del 1985).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, e dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’ art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7) della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e degli artt. 1 e 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, sollevata, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano;
c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lettera a), nn. 1), 2), 3), 7), della legge n. 421 del 1992, e degli artt. 1, 7 e 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dalle Commissioni tributarie provinciali di Milano e di Perugia con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola.
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