Il reato di “atti persecutori”, noto come stalking (previsto dall’art. 612-bis c.p. e consistente nel fatto di chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita) scatta anche in danno dei vicini di casa. Tale principio è stato di recente confermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26878 del 28.6.’16, nella quale i giudici hanno colto l’occasione per ricordare che le dichiarazioni della persona offesa possono essere anche da sole poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, se sottoposte a vaglio critico (come nel caso di specie è stato fatto) circa l’attendibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva di quanto riferito.
La Corte ha sottolineato che a tali dichiarazioni (come già chiarito dalla sentenza n. 41461/’12 delle Sezioni Unite) “non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (tale articolo dispone che «le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità»)” in quanto le dichiarazioni in questione “possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.
Applicando tale criterio al caso in esame, la Corte ha ritenuto che il Tribunale abbia operato un esauriente esame della credibilità del querelante, “escludendo la presenza di intenti calunniatori o di contrasti economici e valorizzando razionalmente il fatto che le sue ripetute querele erano state originate da una reale esasperazione derivante dalle condotte dell’indagato che aveva denunciato”. Condotte, del resto – e come evidenziato nella sentenza – riscontrate più volte anche da interventi della Polizia Giudiziaria.
Estratto “TUTTOCONDOMINIO”, Confedilizia notizie, settembre ’16
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